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Il valore dell’effetto placebo nella cura del Parkinson

Roberta Nazaro

Ultimo aggiornamento – 15 Febbraio, 2016

Secondo una ricerca, pubblicata sul Journal of Physiology, condotta da Fabrizio Benedetti del dipartimento di Neuroscienze all’Università di Torino, i farmaci placebo potrebbero giocare un ruolo importante nella risposta del corpo alla lotta contro il Parkinson.

Attraverso l’utilizzo di un placebo, alternato alle cure, si risveglierebbe una risposta dei neuroni “insensibili” all’effetto placebo, trasformandoli da “non responder” a “responder”. Infatti, grazie alla ricerca, si è scoperto come far memorizzare ai neuroni una reazione simil-farmacologica, potendo così ridurre la somministrazione di medicinali, ma ottenendo gli stessi risultati.

Cos’è l’effetto placebo?

L’effetto placebo fu per la prima volta scoperto da Émile Coué, nei primi anni del XX secolo, riferendosi a esso con il termine di “autosuggestione“. Secondo Coué, gli effetti dei farmaci, comunque fondamentali, potevano essere amplificati dallo stato mentale del paziente. Bisogna tuttavia specificare che l’effetto placebo non è uguale per tutti, ma varia da persona a persona. Nello specifico, l’effetto placebo è una risposta del paziente alla somministrazione di una sostanza priva di principi attivi specifici, che può, in alcuni soggetti, attivare una risposta nei neuroni e, di conseguenza, un effetto.

Quali ricerche sono state condotte?

Nello studio, condotto dal dottor Benedetti, si è analizzato il metodo per condizionare i neuroni “non responder” di 42 pazienti affetti di Parkinson, in cura con una terapia a base di apomorfina, un dopaminergico di pronto intervento. Durante la prima somministrazione di un farmaco placebo, cioè una soluzione salina, non si sono registrate variazioni delle condizioni del paziente, né positive, né negative.

Tuttavia, si è notato che alla somministrazione di apomorfina prima del placebo seguiva un aumento dell’attività neuronale nel talamo, ottenendo miglioramenti clinici nel tempo, come per esempio una riduzione della rigidità muscolare. Inoltre, somministrando solo placebo, dopo 4 giorni di apomorfina, si è registrata una risposta dei neuroni simile al farmaco, per 24 ore.

Quali sono stati i risultati?

Secondo il dottor Benedetti, questo genere di somministrazione ciclica ha permesso ai neuroni nel talamo di essere indotti a rispondere all’effetto placebo. Lo studio, ha aggiunto il ricercatore, può avere delle ripercussioni importanti, perché si potrebbe limitare la quantità di farmaci da somministrare, sfruttando il cosiddetto “apprendimento” dei neuroni.

Tale ricerca ha quindi dimostrato l’esistenza di una sorta di memoria dell’azione farmacologica, che potrà essere sfruttata somministrando meno farmaci pur ottenendo i medesimi risultati e gli stessi benefici.

 

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Roberta Nazaro
Scritto da Roberta Nazaro

Sono insegnante di inglese e traduttrice, con laurea triennale in Scienza e Tecnica della Mediazione Linguistica e specialistica in Dinamiche Interculturali della Mediazione Linguistica presso l'Università del Salento. L'interesse per l'ambito medico mi ha portata al conseguimento del Master in Traduzione Specialistica in Medicina e Farmacologia conseguito presso il CTI di Milano.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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