icon/back Indietro Esplora per argomento

L’alzheimer e le difficoltà dei caregivers: intervista alla dott.ssa Roberta Gerola

Ezia Campise | Blogger

Ultimo aggiornamento – 17 Gennaio, 2013

Indice del contenuto

Sempre più spesso le famiglie devono farsi carico della cura dei propri parenti anziani. Far fronte alla cura di pazienti che hanno una certa età (con tutti i problemi di salute che questa comporta) non è sempre facile, specie se si deve affrontare anche l'insorgenza di patologie tipiche della terza età, come l'Alzheimer.

Nel primo periodo di insorgenza della malattia spesso si fanno i conti con implicazioni psicologiche molto serie, per le persone più vicine ai pazienti. Il sostegno dato ai parenti stessi del malato in questa fase è essenziale.

Nelle fasi successive della malattia si affrontano istanze molto pratiche legate all'assistenza, spesso insormontabili. Per questo motivo spesso si decide di affidarsi e di affidare i propri cari alle RSA, strutture che possono garantire un'assistenza specializzata agli anziani, anche affetti da patologie come l'Alzheimer, e restituire serenità all'intero nucleo familiare.

Intervistiamo la dott.ssa Roberta Gerola, responsabile U.R.P. (Ufficio Relazioni col Pubblico) di Villa Fiammetta, una RSA che risponde quotidianamente alle esigenze delle famiglie e affronta quotidianamente le loro paure.

Dottoressa Roberta Gerola (Pedagogista, Counsellor professionista), accettare l'insorgenza di una malattia come quella del morbo di Alzheimer in un congiunto è molto difficile. Sulla base della sua esperienza nella RSA villa Fiammetta, quali suggerimenti si sente di dare a chi si trova in questa situazione?

L’Alzheimer è una malattia degenerativa che non ha una cura farmacologica risolutiva; il benessere del malato è affidato alla famiglia che deve informarsi e formarsi per organizzare la casa e l’assistenza adeguata al domicilio. Questa prima parte è comune a tutte le famiglie. Non si può aspettare a formarsi perché è importante agire subito per aiutare il malato a combattere la malattia, ad affrontarla per rallentarla il più possibile. Per il malato sentire l’alleanza della propria famiglia è fondamentale e può aiutarlo a combattere lo stato depressivo che può insorgere nella prima fase. All’inizio la famiglia è disorientata e spaventata ed è per questo che le associazioni come Alzheimer Italia o AIMA hanno organizzato iniziative rivolte ai familiari, affinché possano essere aiutati a diventare protagonisti della cura e a non perdere tempo preziosissimo.

Le difficoltà nascono soprattutto nella relazione, perché spesso i parenti non capiscono le difficoltà che il malato ha di capire e di organizzare le proprie azioni e nascono colpevolizzazioni che compromettono la serenità di tutti. La famiglia solitamente nelle prime fasi gestisce al domicilio e se c’è una buona “rete” tutto funziona. In questo periodo è bene informarsi sulle strutture presenti sul territorio, conoscerle, chiedere informazioni generali ma soprattutto sulla lista d’attesa in modo da scegliere quella che meglio risponde ai desideri del familiare. Questo prepara ad affrontare gli imprevisti (una malattia che impedisce a chi cura di occuparsi del malato, una frattura che richiede che la casa sia riorganizzata, la necessità di un periodo di sollievo). E’ importante informarsi anche sulla disponibilità delle strutture ad accettare ricoveri temporanei.

Essere sempre a contatto con il paziente è molto difficile. Quali sono gli errori più frequenti delle persone che si occupano di un malato di Alzheimer?

L’errore che ha le conseguenze peggiori è il concentrarsi unicamente sulle esigenze del malato: questo mette tutti gli altri componenti della famiglia (marito, figli) in secondo piano. Mi capita di conoscere figlie che hanno bambini piccoli che trascurano per occuparsi del papà che è malato e magari non dorme la notte o è aggressivo o si perde. È giusto, nelle emergenze, occuparsi temporaneamente anche solo dei genitori ma non a lungo termine trascurando la propria famiglia: questo comportamento, protratto nel tempo, potrebbe creare una destabilizzazione e certo non è questo che il malato avrebbe voluto per i propri figli. È necessario trovare soluzioni che rispettino il benessere di tutti e fra quelle possibili può essere opportuno considerare anche il ricovero.

Nella mia struttura ho seguito tante volte questo passaggio, l’affidamento di un proprio caro che si è seguito in modo esclusivo al domicilio, magari per lungo tempo; spesso la simbiosi è così forte e radicata che il parente va in pezzi, perché perde il suo ruolo, essendo spesso diventato solo caregiver del malato d’Alzheimer e non si riconosce in altro, deve riprendere il possesso della propria vita e della propria identità. Solitamente i malati si inseriscono bene, nonostante le comprensibili difficoltà iniziali ma talora può essere opportuno per il familiare farsi seguire perché si tratta di un momento molto delicato.

Un altro errore che ha conseguenze importanti è la difficoltà che il familiare ha di accettare la differente visione del mondo che ha il malato. Il mondo del malato è un mondo in cui la fretta non deve esistere, in cui le cose non vengono eseguite in modo perfetto, in cui gli stimoli sono difficili da interpretare e spesso compromessi da allucinazioni, in cui le parole si confondono, il galateo non è perfetto,  le emozioni sono forti.  E’ difficile capire e accettare questa diversa prospettiva ma ciò può essere estremamente utile.

Molto spesso le condizioni di salute dei pazienti non consentono che ci si occupi di loro in ambito domestico, e ci si affida ad una struttura preposta. Prendere una decisione simile comporta pesanti implicazioni psicologiche. Quali sono i dubbi più comuni che i parenti pongono ad un primo contatto con le strutture assistenziali?

I dubbi sono gli stessi che tutti i familiari hanno e riguardano la serietà del personale, la professionalità e l’umanità di chi coordina e gestisce. Per questo è importante non aspettare l’urgenza per conoscere le strutture perché in urgenza il primo posto che si libera si deve accettare e i familiari si sentono frustrati e non protagonisti. In questo caso anche per noi è più difficile creare un rapporto di fiducia e farci conoscere. I dubbi riguardano anche le conseguenze che l’allontanamento dalla casa potrebbero comportare per il malato. Questo aspetto va valutato e discusso con persone preparate. A Villa Fiammetta me ne occupo io come pedagogista e counsellor e grazie alla mia esperienza dovuta ad anni di sostegno ai familiari di malati d’Alzheimer al domicilio, conosco le difficoltà di accettazione di un ricovero. È importante dedicare del tempo al familiare che deve fare una scelta difficilissima, bisogna vagliare tutti gli aspetti, essere trasparenti, aiutarli a non far prevalere le emozioni sul dato reale. Questa attenzione va poi trasformata in condivisione perché il familiare va tenuto al corrente di ogni cosa avviene nella rsa, almeno nel primo periodo; condividere sempre con sincerità e delicatezza, perché la famiglia, protagonista della cura fino a prima dell’inserimento, non può essere poi ignorata o trascurata in seguito.

In base alla sua esperienza come si evolvono i rapporti tra i malati ed i parenti dopo l'ingresso in una struttura come Villa Fiammetta?

Il marito torna ad essere marito, i figli tornano ad essere figli. E’ la cosa fondamentale ed è importantissima.

Occuparsi di malati così impegnativi per tutto il giorno (spesso per le intere 24 ore) è faticoso fisicamente e psicologicamente. Si diventa unicamente persone che gestiscono, che risolvono problemi, che contengono agitazione, comportamenti, che controllano la confusione e la perdita delle capacità cognitive. Assistenti medici fisioterapisti ma non mogli, non figli, non mariti. Dopo l’inserimento si dedica più tempo alla semplice relazione, si sta seduti con il familiare senza occuparsi, se non affettivamente, di lui, lo si fa passeggiare, gli si fanno doni alimentari, lo si ascolta, gli si dedica tempo, si fanno cose “leggere”. La persona si sente accettata per quello che è e accolta e questa parte è possibile solo se si è tranquilli e sereni e se si è in contatto con se stessi. È una parte importante perché il rapporto familiare a volte è proprio nella casa che manca.

Le Residenze Sanitarie devono essere considerate alleate della famiglia perché ne diventano il prolungamento e potenziano e continuano quello che al domicilio è stato fatto. Purtroppo la gestione di malati così complessi ha bisogno di tanta professionalità e spesso di interventi sanitari che al domicilio sono molto difficili da organizzare e gestire e dover ricorrere ad una RSA non deve essere vissuto come un fallimento ma come un grande gesto di amore della famiglia che si sacrifica per garantire al proprio caro la cura migliore.

Condividi
Ezia Campise | Blogger
Scritto da Ezia Campise | Blogger

La mia esperienza a Pazienti.it mi ha fatto scoprire un mondo ricco di interessanti sfumature che definiscono i contorni della salute. La salute può essere anche online, attraverso contenuti, immagini, informazioni che si raccolgono perfettamente in un blog.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
Ezia Campise | Blogger
Ezia Campise | Blogger
in Salute

70 articoli pubblicati

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
Contenuti correlati
Una donna beve dal bicchiere una medicina
OKi® antinfiammatorio: ecco cosa sapere

OKi antinfiammatorio, ecco cosa sapere su uno dei medicinali tra i più popolari: quando prenderlo, ogni quanto, effetti collaterali e controindicazioni.

icon/chat