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Sindrome di Stoccolma

Psicologia
Sindrome di Stoccolma

Cos’è la sindrome di Stoccolma

La sindrome di Stoccolma è una particolare condizione di abuso in cui sono coinvolti solitamente due soggetti: la vittima e il carnefice. La maggior parte delle persone conosce questa espressione perché utilizzato in casi di rapimento e di persone tenute in ostaggio.

La sindrome di Stoccolma non risulta inserita in nessuna classificazione psichiatrica, né in alcun manuale di psicologia (come il DSM e l'ICD), tuttavia costituisce un caso particolare di legami traumatici, ossia quei legami nei quali una persona gode di una posizione di potere rispetto a un’altra, che diviene vittima di atteggiamenti violenti sia fisici che psicologici.

Nelle situazioni di pericolo e di terrore, infatti, le persone spesso tendono a legare emotivamente con i propri abusatori (che possono essere indifferentemente rapitori o partner) come meccanismo di difesa e di sopravvivenza.

Nel caso di un sequestro se il rapitore mantiene in vita gli ostaggi, questi potrebbero sviluppare la convinzione che essere gentili e comprensivi verso di lui potrebbe aumentare le proprie occasioni di sopravvivenza.

Ciò accade perché la vittima inizia a sentire la propria vita direttamente dipendente da un altro (il carnefice appunto) e sviluppa un meccanismo psicologico di totale attaccamento verso di lui, credendo così di evitare la morte.

Tale convinzione è una modalità di sopravvivenza escogitata dal nostro cervello per sopportare una situazione traumatica, abusiva e spaventosa. 

Questo, però, si verifica anche nelle vittime di rapporti disfunzionali: i partner di compagni violenti sia fisicamente che psicologicamente, infatti, spesso si rifiutano di denunciare l'abusatore. 

Cenni storici

La Sindrome di Stoccolma prende il nome da una rapina avvenuta a Stoccolma nel 1973: era il 23 Agosto del 1973 quando quattro impiegati della banca Sveriges Kreditbanken al centro di Stoccolma, Birgitta Lundblad, Elisabeth Oldgr, Kristin Ehnmark e Sven Safstrom, vennero presi in ostaggio dal criminale 32enne Jan-Erik Olsson e dal suo compagno di cella Clark Olofsson.

L’assedio alla banca durò 6 giorni, al termine dei quali era evidente come le vittime della rapina avessero sviluppato una sorta di relazione affettiva con i loro rapitori.

Gli impiegati della banca, presi in ostaggio per sei giorni, si legarono emotivamente ai rapitori, al punto da giustificare i loro comportamenti e rifiutarsi di collaborare con la polizia.

Anche una volta liberati, alcuni rimasero in contatto con i loro rapitori e si rifiutarono di testimoniare contro di loro in tribunale. Dopo l'arresto gli ex ostaggi fecero persino visite in carcere ai loro ex carcerieri.

Gli psichiatri spiegarono questo fenomeno sostenendo che gli ostaggi, legati emotivamente ai loro rapitori, avessero sviluppato riconoscenza e gratitudine verso i carnefici anziché verso la polizia poiché i sequestratori non li avevano uccisi. 

Il primo a coniare il termine "sindrome di Stoccolma" fu il criminologo e psichiatra Nils Bejerot collaboratore della polizia durante la rapina alla Kreditbanken, che fece riferimento a questa sindrome in un notiziario.

Il termine divenne parte del lessico popolare nel 1974 quando fu usato come difesa per il caso di Patty Hearst, l’ereditiera californiana dell’impero giornalistico Hearst, rapita da un gruppo di militanti rivoluzionari dell'Esercito di Liberazione Simbionese.

Durante la sua prigionia, durata ben 591 giorni, la Hearst avrebbe sviluppato un sentimento di dipendenza psicologica e/o affettiva nei confronti dei suoi rapitori, tale da spingerla a partecipare con loro a diverse rapine per le quali fu incriminata in seguito alla sua cattura.

L'espressione fu poi ripresa dallo psichiatra Frank Ochberg che inserì la sindrome nel novero di quelle citate nei programmi per la formazione degli agenti della US National Task Force on Terrorism and Disorder, divisione incaricata di gestire le situazioni con ostaggi.

In anni più recenti questa sindrome è stata evocata per il caso di Natascha Kampusch, rapita nel 1998 all’età di 10 anni da Wolfgang Priklopil e da questi tenuta segregata in uno scantinato per 8 anni. 

Secondo quanto riportato dai giornali e dalla stessa ragazza, una volta liberata e appresa la notizia della morte del suo aguzzino avrebbe pianto e pregato per lui.

Sintomi della sindrome di Stoccolma

I sintomi della sindrome di Stoccolma sono quattro e devono verificarsi contemporaneamente: 
  1. Senso di minaccia alla propria incolumità fisica o psicologica Le vittime della sindrome di Stoccolma devono sentirsi minacciate fisicamente o psicologicamente e devono essere convinte che l'abusatore o il rapitore potrebbe mettere in pratica ciò che minaccia di eseguire, come rompere oggetti a cui teniamo o, peggio, ferire qualcuno a cui teniamo, come un animale al quale siamo affezionati. L'obiettivo del carnefice è quello di convincere la vittima che le minacce siano realistiche e possono quindi essere messe in atto. Questo fa regredire le vittime in uno stato di infantilizzazione.
  2. Piccoli gesti di gentilezza da parte dell'abusatore – Di tanto in tanto anche piccoli atti di gentilezza dal parte dell'abusatore, come ricevere del cibo o dell’acqua, inducono un primitivo senso di gratitudine nei confronti del proprio aguzzino: qui entra in gioco la manipolazione psicologica vera e propria. In generale, questa tattica serve all'abusatore per mostrare di essere in grado di prendersi cura della vittima, in modo da indurla a pensare di essere in grado di compiere anche azioni benevole. Questo fa sì che l'abusato pensi che la situazione possa cambiare. Nell'ambito dell'abuso psicologico, il carnefice può all'improvviso compiere dei piccoli gesti di gentilezza, come cucinare la cena o fare un regalo alla propria vittima. Nei casi più gravi, la mancanza stessa di un abuso che si verifica con costanza è vissuto dalle vittime come gesto di clemenza e buon cuore da parte dell'abusatore. A volte, per ottenere questo scopo, i carnefici condivideranno con le vittime un momento intimo di difficoltà emotiva o di trauma vissuto a causa dei genitori: questo umanizzerà la loro figura, farà sì che le vittime empatizzino con loro e si sentano in colpa per i loro difficili trascorsi. Questo farà ulteriormente perdere il focus sulla dinamica che si sta instaurando: l'abuso psicologico o fisico vissuto dalla vittima, che però tenderà ora a giustificare il proprio carnefice. 
  3.  Isolamento – La vittima risulta progressivamente isolata fisicamente dalle altre persone e/o mentalmente da altri punti di vista rispetto a quello dominante del carnefice. Nelle situazioni di abuso psicologico, questo accade perché l'abusatore manipola la vittima e la convince a non fidarsi dei propri amici o a non frequentare persone a lei vicine; se la vittima continua a frequentare queste persone, l'abuso si verificherà nel momento in cui tornerà dal proprio partner abusante: si verifica così il condizionamento mentale per cui se non si obbedisce al partner manipolatorio, potrebbe verificarsi qualcosa di terribile (vedi punto 1). La vittima assumerà sempre di più il punto di vista del carnefice per fare in modo di non turbarlo o infastidirlo, per evitare quindi che la sempre presente minaccia di abuso non si realizzi.
  4. Impossibilità di fuga – Le vittime di sindrome di Stoccolma pensano sia impossibile sfuggire da questa dinamica. Nelle relazioni, questo spesso è collegato al denaro: spesso le vittime non sono indipendenti economicamente e quindi non sono in grado di emanciparsi dal carnefice per mancanza di risorse. In altri casi, gli abusatori conoscono dei particolari intimi o dei segreti della vittima che minacciano di rivelare nel caso questa se ne andasse: la paura, l'imbarazzo e la vergogna fungono da calamita e immobilizzano la vittima nella situazione di abuso. A volte, il carnefice minaccerà di uccidersi o di uccidere qualcuno di caro alla vittima se questa dovesse fuggire: in questo modo la vittima si sente responsabile delle scelte perverse di violenza che il carnefice potrebbe mettere in atto e pertanto si sente impotente.

Cause della sindrome di Stoccolma

La precisa causa della sindrome di Stoccolma non è del tutto chiara. Tuttavia nei casi di sindrome di Stoccolma si presentano quattro situazioni ritenute determinanti per la nascita nell'ostaggio di un legame emotivo. 

Tali situazioni sono:
  • Sviluppo, nella vittima, di sentimenti positivi come empatia e comprensione verso il suo sequestratore o abusatore
  • Nei casi di sequestro, assenza di una precedente relazione tra vittima e rapitore 
  • Sviluppo, nella vittima, di sentimenti negativi nei confronti delle autorità incaricate di provvedere al rilascio e all'arresto del sequestratore o dell'abusatore
  • Fiducia, da parte della vittima o dell'ostaggio, nell'umanità di chi lo sequestra o chi lo abusa: la vittima è convinta della bontà del suo rapitore

Soggetti a rischio di sindrome di Stoccolma

I soggetti a rischio della sindrome di Stoccolma sono quelli in cui si verifica con maggiore frequenza, ossia:
  • Bambini
  • Donne
  • Prigionieri di guerra
  • Persone particolarmente religiose
  • Prigionieri dei campi di concentramento

Diagnosi di sindrome di Stoccolma

La diagnosi di sindrome di Stoccolma non prevede dei criteri approvati dalla comunità medica, dal momento che tale sindrome non rientra tra le condizioni psichiatriche.

Cura per la sindrome di Stoccolma

La miglior cura per la sindrome di Stoccolma è una psicoterapia gestita da professionisti, specializzati nella cura della dipendenza affettiva, inoltre risulta vitale il supporto della famiglia e degli amici.

In alcuni casi è utile anche affiancare alla psicoterapia, una terapia farmacologica che deve essere attentamente impostata dallo psichiatra.

Si può guarire dalla Sindrome di Stoccolma, ma in certi casi servono molti anni. Non esiste dunque alcuna specifica terapia standardizzata per chi sviluppa la sindrome di Stoccolma; è, infatti, il tempo a ristabilire l'equilibrio psicologico nella vittima del sequestro o dell'abuso.
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Dr.ssa Elisabetta Ciaccia Psicoterapeuta
Dr.ssa Elisabetta Ciaccia
psicologopsicoterapeuta

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