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Esami per il cuore e per il metabolismo: ecco come leggere le analisi del sangue

Redazione

Ultimo aggiornamento – 15 Aprile, 2021

Analisi del sangue: come Valutare il proprio Metabolismo

A cura di  sanita_informazione

A cura della dott.ssa Donatella Pia Dambra, Resposabile sanitario unico e responsabile Assicurazione Qualità per La Rete di Tutti Associazione Donatori Volontari di Sangue, presso gli Ospedali C.T.O. “Andrea Alesini” e Sant’Eugenio a Roma. 


Capire e interpretare gli esami di laboratorio è compito del medico. I valori dei test ematici, infatti, molto raramente dicono qualcosa presi singolarmente. Possono assumere un vero (e attendibile) significato solo se visti nel loro insieme e associati alle condizioni per le quali sono stati richiesti e alle caratteristiche del paziente, coi suoi sintomi, la sua età, le sue caratteristiche.

Lo scopo delle informazioni che si possono trovare qui sotto è di fornire una base culturale per capirsi meglio col medico, e prepararsi, eventualmente, a fare le domande giuste, soprattutto nel momento in cui, in seguito a una donazione di sangue, dovessero sorgere dubbi e ingiustificate preoccupazioni.

Perché misurare la glicemia?

La glicemia a digiuno serve a misurare quanto glucosio è presente nel sangue. Indirizza, ma non basta, alla diagnosi di diabete.

Il test misura la concentrazione di glucosio nel sangue. Il glucosio è uno zucchero e rappresenta la principale risorsa di energia per l’organismo. I suoi livelli nel sangue dipendono dall’equilibrio tra la quantità di zucchero introdotta con la dieta, o derivante dalle riserve corporee, e la quantità che viene utilizzata dai vari tessuti (muscoli, cervello, eccetera).

Questo equilibrio è regolato da due ormoni: l’insulina e il glucagone. La prima viene rilasciata subito dopo un pasto e consente di mantenere la glicemia entro valori normali, favorendo l’assunzione e l’immagazzinamento del glucosio nelle cellule. Il secondo, invece, agisce tra un pasto e l’altro, favorendo il rilascio di glucosio dal fegato quando i livelli nel sangue sono bassi.

Un’alterazione di questo sistema di regolazione può provocare condizioni di ipoglicemia (bassi livelli di glucosio nel sangue) o di iperglicemia (alti livelli di glucosio nel sangue), che possono essere anche fatali. Per esempio, nel diabete, uno stato di iperglicemia cronica può portare a un danno progressivo di organi come reni, occhi, nervi, cuore e vasi. L’ipoglicemia, invece, ha effetti gravi soprattutto sul sistema nervoso.

Quando fare il test della glicemia?

L’esame serve a determinare se il glucosio nel sangue è nella norma o se sono presenti condizioni anomale di iperglicemia o ipoglicemia. Può essere, dunque, utilizzato per fare una diagnosi di diabete. A questo scopo esso è indicato per le seguenti categorie:

  • individui apparentemente sani, come parte degli esami del sangue di routine;
  • persone a rischio di diabete: con una storia familiare di diabete, in sovrappeso, di età superiore ai 40-45 anni;
  • individui con sintomi di iperglicemia (aumentata sete, aumentata produzione di urine, fatica, visione sfuocata);
  • individui con sintomi di ipoglicemia: (sudorazione eccessiva, ansia, confusione, tremori, fame);
  • malati di diabete che devono tenere sotto controllo i livelli di glucosio anche diverse volte durante la giornata.

Come si fa il test della glicemia?

Si utilizza un campione di sangue prelevato dalla vena di un braccio. Per un controllo personale della glicemia, pratica quotidiana nei malati di diabete, è sufficiente raccogliere poche gocce di sangue, pungendo la pelle con un piccolo ago. L’esame viene eseguito a digiuno ad almeno 8-10 ore dall’ultimo pasto.

Elevati livelli di glucosio nel sangue sono di solito dovuti al diabete, ma possono essere causati anche da altre condizioni, quali:

  • Avvelenamento da monossido di carbonio (CO)
  • Obesità
  • Tumori cerebrali
  • Ictus cerebrale
  • Infarto cardiaco
  • Insufficienza renale cronica
  • Ipertiroidismo
  • Neoplasia del pancreas
  • Pancreatite
  • Sindrome di Cushing
  • Stress
  • Acromegalia
  • Uso di alcuni farmaci (pillola anticoncezionale, diuretici e alcuni antidepressivi)

Valori inferiori a quelli ritenuti normali possono essere determinati da: eccessiva assunzione di alcol, cirrosi epatica, malattie epatiche croniche, digiuno o malnutrizione, ipotiroidismo, tumori del pancreas, tumori dell’ipofisi, sarcomi, uso di alcuni farmaci (betabloccanti, steroidi anabolizzanti), eccesso di insulina.

Curiosità…

Oltre che a digiuno, la misurazione del glucosio può essere effettuata anche vicino ai pasti. Per esempio, il cosiddetto test da carico di glucosio consiste in una serie di misurazioni del glucosio effettuate a tempi diversi dall’assunzione di una quantità standard di glucosio.

Questo esame è usato per seguire i livelli di glucosio nel tempo ed è indicato, così come il test del glucosio a digiuno, per la diagnosi del diabete. In entrambi i casi, per confermare la diagnosi occorre ripetere il test almeno due volte.

Esiste anche il test del glucosio urinario, che misura la concentrazione di glucosio nelle urine e che rientra nelle analisi delle urine eseguite di routine. In genere, ciò che causa aumenti della glicemia produce anche un incremento del glucosio nelle urine.

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Proteina C reattiva (PCR): cosa misura?

Il test misura la concentrazione della proteina C reattiva (CRP) nel sangue. La CRP è una sostanza prodotta dal fegato e poi rilasciata nel circolo sanguigno. In condizioni normali, i suoi livelli nel sangue sono bassi, ma in presenza di un’infezione o di uno stato infiammatorio possono aumentare anche di migliaia di volte nel giro di poche ore.

In questi casi, la crescita della CRP è molto rapida e precede il manifestarsi di sintomi classici dell’infiammazione, come la febbre o il dolore. Il ritorno di CRP a valori normali è altrettanto rapido: non appena l’infiammazione scompare anche la proteina cala.

Test della CRP: quando farlo?

Il test della CRP viene utilizzato per accertare la presenza di uno stato infiammatorio, ma non è specifico per la diagnosi di nessuna malattia. In genere, il medico ricorre alla misurazione della CRP nel sangue quando sospetta una malattia infiammatoria, come alcuni tipi di artrite (artrite reumatoide), malattie autoimmunitarie (lupus eritromatosus), disturbi dell’intestino (morbo di Chron). Essendo CRP un marcatore generale di infiammazione, un eventuale aumento della sua concentrazione deve allertare il medico che provvederà a prescrivere esami più approfonditi per poter effettuare una diagnosi di malattia.

Il test della CRP viene usato anche per determinare l’efficacia di una terapia antinfiammatoria, oppure per valutare l’insorgenza di infezioni batteriche o virali nelle persone a rischio (per esempio nei pazienti che hanno appena subito un intervento chirurgico).

Come si fa il test?

Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. In laboratorio viene poi eseguito il dosaggio, cioè la misurazione della concentrazione della proteina nel campione di sangue prelevato.

Nelle persone sane il valore medio della CRP è compreso tra 0,5 mg/L e 10 mg/L, con una variabilità che dipende dall’età e dal sesso del paziente.

Per la maggior parte dei casi di infezione e in ammazione si registrano incrementi della CRP, misurabili attraverso il test, che vanno da 10 mg/L a 1000 mg/L.

Esiste anche un altro esame che misura la CRP: esso è de nito test per la CRP ad alta sensibilità. A differenza dell’esame a bassa sensibilità, che può misurare solo valori di CRP superiori a 10 mg/L, questo test è in grado di rilevare variazioni di piccole quantità della proteina, misurando concentrazioni comprese tra 0,5 e 10 mg/L.

Il test ad alta sensibilità è stato indicato per valutare il rischio cardiovascolare in persone sane, visto che diversi studi hanno evidenziato un’associazione tra aumento della CRP e malattia cardiovascolare. A oggi, però, non c’è un consenso generale degli addetti ai lavori su quando effettuare questo test e su come interpretarlo.

Infatti, un aumento dei livelli di CRP riflette la presenza di infiammazione, ma non indica necessariamente che l’infiammazione abbia luogo nelle pareti delle arterie, a livello delle placche aterosclerotiche, e che sia quindi collegata a un rischio cardiovascolare.

In ogni caso, nonostante la questione sia ancora controversa, il test può essere prescritto insieme ad altri esami che valutano il rischio cardiovascolare, come la misurazione del colesterolo buono (HDL) rispetto a quello totale e la determinazione dei trigliceridi. Inoltre, sono state definite tre classi di rischio cardiovascolare, che corrispondono ad altrettante concentrazioni della PCR.

Misurare il colesterolo: come e quando?

L’esame misura la concentrazione di colesterolo nel sangue: con tre misurazioni diverse si ottengono i livelli di colesterolo totale, HDL (o colesterolo buono) e LDL (o colesterolo cattivo).

Il colesterolo è un tipo di grasso in parte prodotto dall’organismo e in parte introdotto con la dieta. Esso è essenziale per la vita, perché forma le membrane delle cellule, è usato per sintetizzare alcuni ormoni indispensabili per la crescita, lo sviluppo e la riproduzione, e forma gli acidi biliari che partecipano all’assorbimento intestinale dei grassi.

Una piccola parte di colesterolo è presente nel sangue dove è legato a speciali proteine chiamate lipoproteine. Alcune di esse, le HDL (lipoproteine ad alta densità), trasportano il colesterolo in eccesso dai tessuti al fegato, dove viene eliminato; altre, le LDL (lipoproteine a bassa densità), lo trasportano invece in periferia, favorendo il suo deposito nei tessuti.

A differenza di altri esami, questo test non viene usato per diagnosticare o seguire la progressione di una malattia, ma per valutare il rischio di sviluppare una malattia, nello specifico la malattia cardiaca (malattia coronarica, infarto cardiaco). Visto che livelli elevati di colesterolo LDL si associano a indurimento delle arterie, malattie cardiovascolari e rischio di morte per attacco cardiaco, il suo controllo fa parte di una pratica preventiva di routine.

Negli adulti al di sopra dei 20 anni, la misurazione del colesterolo dovrebbe essere effettuata almeno una volta ogni cinque anni; la frequenza dei controlli aumenta (anche diverse volte l’anno) nei pazienti che seguono una dieta specifica o che assumono farmaci per abbassare il colesterolo: in questi casi il test serve a determinare l’efficacia della terapia o del cambiamento dello stile di vita.

Come si fa il test?

Per determinare la colesterolemia, cioè la concentrazione di colesterolo nel sangue, è sufficiente un prelievo di sangue dalla vena di un braccio. Il test, però, può essere anche effettuato su campioni di sangue prelevati pungendo con un ago la punta di un dito.

Non è necessario digiunare prima dell’esame, perché un singolo pasto non altera i livelli di colesterolo nel sangue. Esso varia in seguito a cambiamenti delle abitudini alimentari, per esempio con il passaggio da una dieta ricca di grassi a una dieta povera di grassi, ma sono necessarie diverse settimane.

Il test per le LDL richiede invece un digiuno di 12 ore, visto che LDL è calcolato in modo indiretto a partire dai risultati di altri esami che richiedono il digiuno.

Quali sono i valori normali e quelli anomali del colesterolo?

I diversi valori di colesterolo sono associati a un rischio più o meno elevato di sviluppare una malattia cardiovascolare; in generale, valori elevati di colesterolo totale e LDL sono associati a un alto rischio cardiovascolare, mentre il colesterolo HDL è inversamente proporzionale al rischio: quanto maggiore è HDL, tanto minore è il rischio.

Tuttavia va precisato che una vera concentrazione di colesterolo valida per tutti non esiste. Essa, infatti, varia a seconda della presenza di altri fattori di rischio. Per questo una donna, per esempio, senza familiarità per malattie cardiovascolari e non in sovrappeso, avrà un valore di colesterolo desiderabile molto più alto da quello di un uomo diabetico, obeso e fumatore.

Quest’ultimo, infatti, a causa dei numerosi fattori di rischio già presenti, dovrà essere molto più «severo» nel ridurre il proprio colesterolo.

Come interpretare i risultati dell’esame

Il colesterolo può aumentare sia per una predisposizione ereditaria, sia per una dieta ricca di cibi ad alto contenuto di grassi (come uova e latticini). Un aumento del colesterolo totale può essere spia delle seguenti malattie: alcune malattie eredi- tarie (ipercolesterolemia poligenica e iperlipemia familiare multipla), ipotiroidismo, malattie dei reni (sindrome nefrosica, glomerulonefriti), disglobulinemia, ittero colestatico e ostruzioni biliari, pancreatite cronica, malattia di Cushing, diabete, obesità, por ria acuta intermittente.

Anche alcuni farmaci possono innalzare i livelli di colesterolo, per esempio: steroidi anabolizzanti, corticosteroidi (cortisone), beta bloccanti, adrenalina, pillola anticoncezionale, vitamina D.

Una riduzione del colesterolo può invece indicare: deficit di alfa lipoproteina, ipertiroidismo, insufficienza epatica, alcuni tipi di anemia, malnutrizione, uremia, morbo di Addison. Riduzioni temporanee del colesterolo possono veri carsi durante una malattia acuta, dopo un attacco cardiaco o in condizioni di stress (per esempio dopo un intervento chirurgico o un incidente).

Ci sono controversie sugli effetti dei bassi livelli di colesterolo. Valori inferiori a 100 mg/dl sono di solito associati a malnutrizione, malattie epatiche e alcuni tipi di tumore, ma non esiste alcuna evidenza che uno di que- sti disturbi sia causato dal colesterolo basso.

Per quanto riguarda il colesterolo HDL, quello buono, esso diminuisce nei seguenti casi: diabete, alcune malattie a carico di reni e fegato, malattie infettive e iperlipoproteinemia di tipo IV. La sua diminuzione è un fattore di rischio per l’aterosclerosi e quindi per l’insorgenza di infarto cardiaco e malattie a carico dei vasi sanguigni.

Un suo aumento, invece, può essere dovuto ad alcune malattie del fegato (cirrosi biliare primitiva, epatite cronica).

Trigliceridi: perché misurarli?

Questo esame misura la concentrazione dei trigliceridi nel sangue. I trigliceridi sono la forma di immagazzinamento dei grassi nell’organismo e sono utilizzati come scorta di energia. Essi derivano soprattutto dalla dieta e in piccola parte sono prodotti dall’organismo (fegato); una volta introdotti o sintetizzati, i trigliceridi vengono accumulati nel tessuto adiposo (tessuto grasso), oppure sono usati dal muscolo come fonte di energia.

Una quota di trigliceridi è presente anche nel sangue, sottoforma di palline di grasso e proteine, chiamate chilomicroni e VLDL.

La determinazione dei trigliceridi nel sangue rientra nel cosiddetto profilo lipidico, un insieme di esami che comprende anche la misurazione del colesterolo totale, HDL (colesterolo buono) e LDL (coleste- rolo cattivo) e che serve a determinare il rischio cardiovascolare.

Come si fa il test?

È necessario un semplice prelievo di sangue dalla vena di un braccio. Talvolta, il campione può essere ottenuto pungendo con un ago la punta di un dito. L’esame dev’essere preceduto da 12-14 ore di digiuno, perché dopo i pasti la concentrazione dei trigliceridi nel sangue tende ad aumentare (anche di 5-10 volte rispetto al digiuno). Inoltre, non si dovrebbe consumare alcol nelle 24 ore che precedono l’esame.

A digiuno i valori normali dei trigliceridi nel sangue sono: 50-170 mg/dl.

Trigliceridi alti: perché?

I trigliceridi possono aumentare sia per predisposizione ereditaria sia per diete ricche di grassi. L’aumento dei trigliceridi nel sangue rappresenta un importante fattore di rischio per le malattie cardiache e il diabete.

Oltre agli eccessi della dieta, un aumento dei trigliceridi può indicare le seguenti condizioni: un’eccessiva assunzione di alcol, alcune malattie ereditarie, come il deficit familiare di lipasi lipoproteica (valori superiori a 700 mg/dl) e l’ipertrigliceridemia endogena familiare (valori anche superiori a 1000 mg/ dl), il diabete, l’obesità. Alcuni farmaci aumentano i livelli di trigliceridi nel sangue: corticosteroidi (cortisone), pillola anticoncezionale, estrogeni, alcuni diuretici (furosemide), alcuni agenti antifungini (miconazolo), ecc.

Quando i valori sono molto alti (superiori a 1000 mg/dl), c’è il rischio di sviluppare una pancreatite, cioè un’infiammazione del pancreas. In questi casi, il medico dovrebbe prescrivere subito un trattamento per ridurre i trigliceridi. Una diminuzione dei trigliceridi si osserva invece nelle seguenti condizioni: insufficienza epatica, malassorbimento intestinale, malnutrizione, ipertiroidismo, iperparatiroidismo, malattie epatiche gravi. Alcuni farmaci fanno diminuire i trigliceridi nel sangue; eparina, androgeni, steroidi anabolizzanti, vitamina C, ecc.

Calcio: quando misurarlo?

Il test misura la calcemia, cioè la concentrazione di calcio nel sangue. Il calcio è uno dei più importanti minerali dell’organismo e si trova per il 99 % nelle ossa. Quasi tutto il calcio rimanente circola nel sangue, dove può essere presente in forma libera o legato a speciali proteine, dette proteine plasmatiche.

Quando il medico prescrive il test della calcemia, in genere richiede la misurazione del calcio totale, cioè sia la forma libera sia quella legata. In alcune situazioni, per esempio durante gli interventi chirurgici, soprattutto quando vengono effettuate trasfusioni di sangue, può essere richiesta anche la misurazione del calcio libero.

La misurazione della calcemia è indicata come parte degli esami di routine, per accertarsi che i valori del calcio siano nella norma. L’esame viene usato anche per favorire la diagnosi e seguire l’andamento di malattie delle ossa, dei denti, dei reni e dei nervi.

Quindi il medico lo prescrive in presenza di sintomi che indichino: malattie renali, come l’insufficienza o i calcoli renali; ipercalcemia; ipocalcemia (diminuzione della calcerai); condizioni associate a variazioni della calcemia.

Come si fa il test?

Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio.
In genere livelli di calcitonina molto alti (> 500 pg/ml) sono un buon indicatore di iperplasia benigna o di carcinoma midollare della tiroide; per confermare la diagnosi, però, sono necessari altri esami, come la biopsia tiroidea, l’ecogra a o la Tac.

È possibile effettuare una misurazione del calcio anche nelle urine. Questo esame indica quanto calcio viene eliminato dai reni e viene prescritto quando la calcemia è anomala oppure in caso di sospetti calcoli renali.

Per avere un quadro più completo, il medico può confrontare i risultati del test della calcemia con quelli di altri esami del sangue: il paratormone e la vitamina D, sostanze coinvolte nel mantenimento dell’equilibrio del calcio, l’albumina, la principale proteina plasmatica che lega il calcio, il fosforo e il magnesio.

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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