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Come riconoscere (e prevenire) l’Alzheimer giovanile

Dr.ssa Michela Manfredi

Ultimo aggiornamento – 21 Settembre, 2020

I sintomi dell'Alzheimer giovanile

Dr.ssa Michela Manfredi, specialista in neurologia. 


Come ben sappiamo, il morbo di Alzheimer insorge soprattutto dopo i 65 anni. Nel 6% dei casi, però, si riscontra una forma precoce, nella quale i sintomi compaiono in giovane, giovanissima età.

In questi casi, il sintomo principale che può far accendere il campanello d’allarme è sicuramente la perdita di memoria a breve termine.

Vediamo insieme alla dr.ssa Michela Manfredi come riconoscere l’Alzheimer giovanile.

Alzheimer giovanile: di cosa si tratta?

La prima paziente affetta da morbo di Alzheimer aveva solo 51 anni e per 50 anni questa malattia è stata definita demenza presenile.

Il termine demenza, però, presenta due sfide particolari. La prima è che i criteri standard per la demenza richiedono che la disfunzione cognitiva sia sufficientemente grave da compromettere il funzionamento sociale e professionale; la seconda, invece, che la memoria sia specificatamente compromessa.

Da allora, i lavori scientifici hanno dimostrato che nell’encefalo di chi soffre di Alzheimer a esordio tardivo il danno neuropatologico è lo stesso rispetto a chi è affetto da Alzheimer a esordio giovanile: placche di amiloide e degenerazioni neurofibrillari.

Nonostante questa patologia si verifichi soprattutto in età senile (dopo i 65 anni), non si può negare che vi siano casi di manifestazione della malattia prima dei 65 anni di età con caratteristiche più aggressive e un corso di vita più breve.

In termini pratici, i pazienti affetti da Alzheimer giovanile, rispetto ai malati di Alzheimer in età senile, hanno meno co-morbidità, dunque, meno malattie cerebrovascolari, renali e cardiache.

Insomma, in generale, la malattia di Alzheimer a esordio giovanile include principalmente (ma non esclusivamente!) le forme familiari che presentano una notevole compromissione della memoria episodica. Per effettuare una diagnosi accurata vi sono diverse opzioni: oltre alla neuro-immaging, anche lo studio del liquor cefalorachiadiano può permettere di diagnosticare l’Alzheimer giovanile.

Quali sono i sintomi dell’Alzheimer giovanile?

Alcune caratteristiche cliniche distinguono i pazienti con morbo di Alzheimer a esordio giovanile rispetto a quelli a esordio tardivo: mioclono (scosse involontarie muscolari), conservazione della denominazione degli oggetti e deficit della produzione verbale.

Queste caratteristiche si associano alle manifestazioni che si osservano anche negli Alzheimer a esordio tardivo, soprattutto con perdita della memoria a breve termine.

Sono riconosciute varianti fenotipiche di pazienti con malattia di Alzheimer giovanile rispetto a quella a esordio senile: deficit delle funzioni esecutive, cioè funzioni che regolano i processi di pianificazione, controllo e coordinazione del sistema cognitivo, e deficit del linguaggio. Alcuni hanno una compromissione delle capacità ottico-oftalmiche che si associano ad atrofia corticale posteriore, cioè a una diminuzione delle capacità visuo-spaziali e visuo-percettive, con difficoltà nell’individuazione e nella percezione degli oggetti.

Ci sono diverse varianti della malattia?

Nella malattia di Alzheimer familiare a esordio giovanile autosomico dominante, cioè trasmessa geneticamente, si è dimostrato che le mutazioni della proteina precursore dell’amiloide (pre-senilina 1 e pre-senilina 2) sono molto più frequenti.

Il genotipo Apo E4 può contribuire a una malattia più aggressiva nei pazienti più giovani. Esistono anche varianti fenotipiche all’interno delle malattie geneticamente determinate a esordio giovanile: nei pazienti con delezioni della Presenilina 1, la paraparesi spastica (perdita parziale o totale della funzione motoria volontaria degli arti pelvici) può essere una caratteristica di spicco e persino una presentazione iniziale di malattia.

Esistono importanti varianti fenotipiche anche all’interno della malattia di Alzheimer a esordio giovanile: i pazienti con disturbi mnesici, ad esempio, sono solo un terzo della popolazione affetta.

Nell’ambito dei disturbi non amnestici, le disfunzioni comportamentali o linguistiche esecutive sono ben documentate. Il fenotipo più rappresentato è la cosiddetta atrofia corticale posteriore con difficoltà nell’individuazione e nella percezione degli oggetti. Questi pazienti, però, non potrebbero soddisfare i criteri per la malattia di Alzheimer, avendo una memoria episodica relativamente conservata. Una variante di questa malattia, la cosiddetta afasia progressiva (disturbo del linguaggio), è più comune nei pazienti giovani.

Esiste, inoltre, un’importante associazione tra l’Alzheimer a esordio precoce e la sindrome di Down. Clinicamente, chi è affetto da malattia di Down ha un rischio aumentato di sviluppare la patologia prima dei 35 anni.

La domanda più importante: esistono delle regole per la prevenzione dell’Alzheimer?

La prevenzione del rischio dellAlzheimer sta entrando a tutti gli effetti tra le priorità dellOrganizzazione Mondiale della Sanità. Con l’invecchiamento progressivo della popolazione globale, infatti, si stima che il numero di persone affette da demenza raddoppierà nei prossimi 15 anni, comportando enormi costi assistenziali e sociali. 

Cè però una buona notizia: secondo alcuni dati, circa un terzo dei casi di malattia di Alzheimer possono essere attribuiti a fattori di rischio modificabili, sui quali è quindi possibile agire il più precocemente possibile. Ovviamente, cambiando il proprio stile di vita. 

Dunque, interventi di prevenzione che agiscono sui fattori di rischio prima della comparsa dei sintomi potrebbero portare a una riduzione dei casi e ritardarne l’esordio nelle persone a rischio. Come?

  • Esercizio fisico costante Si consiglia di concentrarsi su attività aerobiche, come corsa, bicicletta, ballo, arti marziali, camminate veloci e simili.
  • Eliminare il fumo di sigaretta Chi fuma ha un rischio maggiore di sviluppare il morbo di Alzheimer: detto ciò, smettere di fumare può riportare il rischio a livelli comparabili a quello dei non fumatori.
  • Prendersi cura del proprio cuore  I fattori di rischio delle malattie che riguardano il cuore (obesità, ipertensione e diabete) sono considerati fattori di rischio per lo sviluppo di Malattia di Alzheimer. Agire su questi, dunque, significa mettere al sicuro cuore e cervello.
  • Seguire una dieta sana La dieta mediterranea si è rilevata utile nel ridurre il rischio di sviluppare demenze. Dunque, via libera a frutta e verdura (rigorosamente di stagione), pane, pasta e cereali (ottimo se integrali), olio di oliva, cipolla, aglio e spezie e ridurre le quantità di sale. Meglio invece limitare quanto più possibile carne rossa, salumi, insaccati e dolci.
  • Mantenere in allenamento la mente Impegnarsi in attività cognitive di alto livello favorisce i meccanismi di plasticità cerebrale. Leggere un libro o un giornale, fare un cruciverba, giocare a carte o dama, visitare un museo o una mostra.
  • Avere una rete sociale attiva Essere parte di attività sociali e ricreative (così come impegnarsi giornalmente in rapporti con altre persone) migliora la qualità della vita ed è associato ad un minore rischio di demenza.

Dunque? Certamente eliminare i fattori di rischio può portare dei benefici. Vale la pena provare.

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Dr.ssa Michela Manfredi
Scritto da Dr.ssa Michela Manfredi

Dopo una laurea in Medicina e Chirurgia, si specializza in neurologia e neuropatologia, con esperienza particolare in parkinsonismi tipici e atipici, disordini del movimento e malattie genetiche e degenerative nel campo delle demenze. Ha all'attivo circa trenta pubblicazioni, con collaborazioni nazionali per studi clinici, multicentrici.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
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