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L’anestesia aumenta il rischio di Alzheimer?

Elena Marchesi | Biologa e ricercatrice

Ultimo aggiornamento – 11 Novembre, 2016

Ti è mai successo di essere preoccupato o di temere a sottoporti all’anestesia? È normale perché questa procedura ha degli effetti sul tuo corpo e comporta alcuni rischi.

Molti studi si sono occupati di studiare le correlazioni tra anestesia e perdita della memoria o tra anestesia e aumento del il rischio di sviluppare demenza. Le conclusioni potrebbero aiutarti a “tirare un respiro di sollievo”.

Quali sono i tipi di anestesia?

L’anestesia è utilizzata in campo medico per eliminare il dolore e quindi è comune durante le procedure chirurgiche.

Può essere di due tipi:

  • locale, se l’iniezione anestetizza solo l’area interessata;
  • generale, se la persona è indotta in uno stato di sonno profondo durante un intervento chirurgico, in modo da non sentire alcun dolore e da non svegliarsi fino al completamento dell’operazione.

Ricerche sulla correlazione anestesia-perdita della memoria

L’anestesia generale è stata spesso connessa al peggioramento delle funzioni cognitive; sono infatti comuni casi di soggetti che si comportano in modo piuttosto strano o confuso appena svegli dall’anestesia generale.

Questa connessione è reale? Gli studi effettuati attualmente sostengono tesi opposte, guardiamole insieme.

Alcuni studi sostengono la presenza di questa correlazione; tra questi:

  • uno studio conclude che il trattamento con l’anestesia generale aumenta il rischio di demenza;
  • un secondo studio evidenzia che l’utilizzo di anestesia generale durante gli interventi chirurgici aumenta in modo significativo il rischio di sviluppare un tipo di demenza specifico dai tre ai sette anni successivi all’intervento;
  • un terzo studio ha associato l’utilizzo di una specifica medicazione durante un particolare tipo di chirurgia – il sevoflurano o utlano nella chirurgia spinale – al declino delle condizioni di un paziente con una diagnosi precedente di Deterioramento Cognitivo Lieve. Questa demenza aumenta il rischio di sviluppare la sindrome d’Alzheimer, seppur talvolta si riscontino pazienti che rimangono stabili o che addirittura riacquistano le funzioni cognitive normali.

Tuttavia altri studi negano i risultati sopra citati:

  • una ricerca pubblicata dal giornale Mayo Clinic Proceedings ha studiato un campione di 877 individui affetti da demenza. Tra questi ha esaminato i soggetti esposti ad anestesia generale ed ha concluso che non vi è alcuna correlazione tra demenza ed anestesia;
  • il Journal of Pain Research ha dichiarato che gli studi che evidenziano una correlazione tra l’utilizzo di anestesia e l’aumentato del rischio di demenza non hanno ancora effettuato abbastanza ricerche per determinare una reale connessione;
  • una ricerca che ha studiato casi di gemelli in cui un solo gemello era stato sottoposto ad anestesia, ha concluso che non vi è una differenza significativa tra le funzioni cognitive dei gemelli;
  • un gruppo di ricercatori ha scoperto che non solo non vi è alcuna correlazione tra l’utilizzo di anestesia e demenza. Anzi, vi è una diminuzione del rischio di demenza nelle persone che hanno sostenuto interventi chirurgici a basso rischio.

Confusione dopo la chirurgia

Non è raro che sussistano comuni stati confusionali al risveglio da un intervento chirurgico.

Questo stato può essere correlato al delirio (una variazione improvvisa di memoria, attenzione, orientamento e abilità di pensiero).

È proprio il delirio stesso ad essere un grande fattore di rischio di demenza negli anziani e pertanto la sua identificazione è di fondamentale importanza per trattare con successo i sintomi.

Allo stesso modo, può svilupparsi una disfunzione cognitiva post-operatoria in seguito ad interventi chirurgici. Si tratta di una condizione temporanea dovuta alla diminuzione della lucidità mentale che solitamente si risolve con il tempo, seppur in alcuni casi gli effetti sono riportati a lungo.

È necessario però evidenziare che il delirio e la disfunzione cognitiva post-operatoria sono differenti: mentre il primo è tipicamente un acuto, improvviso e significativo cambiamento nelle funzioni mentali, la seconda è più probabile che sia una variazione più discreta delle condizioni.

Cosa fare?

Nonostante alcune ricerche abbiano evidenziato una correlazione tra anestesia e demenza, non vi sono abbastanza studi per concludere che vi sia realmente una connessione. Non vi è quindi alcun motivo per allarmarsi.

Piuttosto che preoccuparsi circa la presunta relazione tra anestesia e demenza, ci si potrebbe focalizzare su quei fattori di rischio già conosciuti e legati alla demenza che possono essere controllati.

Demenze e fattori di rischio correlati

La forma più comune di demenza è la sindrome di Alzheimer: riguarda il 60-80% dei casi.

Questa patologia comporta gravi problemi di memoria, di pensiero e comportamento.

Si tratta della forma di disturbo neurologico più frequente negli individui di età avanzata, seppur si riscontrino casi sporadici in quarantenni o cinquantenni.

Non si tratta quindi di un normale processo di invecchiamento, anche se il rischio principale conosciuto è l’età avanzata: basti pensare che è la quarta causa di decesso nella popolazione con più di 65 anni.

Alcuni fattori di rischio legati alla demenza che possono essere controllati per mantenere il cervello in salute sono:

  • la dieta;
  • l’esercizio fisico;
  • la condizione di salute del cuore.

Quali sono i sintomi dell’Alzheimer?

Si tratta di un disturbo progressivo: solitamente i sintomi si sviluppano lentamente e peggiorano con il tempo, diventando severi a tal punto da interferire con le attività giornaliere.

La sopravvivenza media è di 8 – 10 anni dall’insorgere della malattia; si registrano però casi di morte dopo 4 anni o dopo addirittura 20 anni, a seconda dell’età e delle condizioni di salute del soggetto.

Il sintomo iniziale più comune è la difficoltà nel ricordarsi informazioni appena apprese (perdita della memoria a breve termine), in quando in un primo momento l’area cerebrale colpita è quella temporo-parietale.

Con il progredire della malattia gli individui sviluppano altri sintomi, tra cui:

  • perdita progressiva della memoria sia a breve che a lungo termine;
  • disturbi del linguaggio: perdita della capacità di conversare;
  • disturbi visivo-spaziali: incapacità di rispondere a stimoli ambientali;
  • disordini del comportamento molto disparati tra loro come vagabondaggio, agitazione, allucinazione, depressione, apatia, aggressività verbale e/o fisica;
  • deficit neuropsicologici sempre più gravi.

La perdita della memoria a breve termine è facilmente riconoscibile da parenti o amici e – se si presentano – è opportuno consultare un medico il prima possibile; può non essere dovuta all’insorgenza dell’Alzheimer, ma eventualmente una diagnosi precoce permette di agire immediatamente.

Alzheimer e cervello

Cambiamenti microscopici sono alla base dell’insorgenza della malattia e avvengono molto prima dell’insorgere dei primi sintomi; con il progredire della patologia peggiorano, fino ad arrivare all’atrofia celebrale.

Da un punto di vista anatomo-patologico, si possono osservare:

  • placche, ossia depositi di una proteina frammentata (beta-amiloide), il cui ruolo è di spaziatore tra cellule nervose;
  • presenza di grovigli neurofibrillari di proteina Tau-fosforilata a livello intracellulare.

Attualmente, non vi è alcun modo per bloccare queste modificazioni e non è disponibile alcuna cura, ma la ricerca biomedica è molto attiva in questo campo.

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Elena Marchesi | Biologa e ricercatrice
Scritto da Elena Marchesi | Biologa e ricercatrice

Diplomata al Liceo Scientifico PNI in Matematica, ho iniziato i miei studi presso la facoltà di Biotecnologie dell’Università degli Studi di Milano, successivamente ho prediletto la facoltà di Science Communication & Bionics presso una Università Internazionale con sede in Germania. Attualmente sto assistendo in un progetto di ricerca finanziato dall’Unione Europea.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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