A ottobre è arrivato l’ok della Food Drug Administration (FDA), oggi il via libera della Commissione europea: il PARP inibitore talazoparib per le pazienti con carcinoma mammario avanzato o metastatico con una mutazione di BRCA ereditaria è stato finalmente approvato.
La decisione è arrivata in seguito al parere positivo espresso ad aprile dal Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell’Agenzia Europea per i medicinali (Ema). Il motivo? Secondo i dati, potrebbe ridurre del 46% il rischio di progressione della malattia, se paragonato ai risultati dati dalla chemioterapia.
Insomma, la capacità di bloccare le metastasi del tumore al seno è stata ormai provata.
Cos’è il Talazoparib per il tumore al seno
Il farmaco per il tumore al seno appena approvato dalla Commissione europea – indicato soprattutto per le pazienti precedentemente trattate con chemioterapia – fa parte di una precisa classe di farmaci: i Parp-inibitori, quelle molecole capaci di colpire selettivamente le cellule tumorali, interferendo con i meccanismi di riparazione dei danni al Dna.
In altre parole, questa classe di farmaci è capace di annullare quei meccanismi di riparazione del Dna propri delle cellule tumorali, facendo in modo che queste non siano più in grado di replicarsi. Il farmaco è il quarto esponente della classe dei PARP inibitori che già comprende:
- Olaparib
- Niraparib
- Rucaparib
I primi due sono già presenti anche in Italia, il terzo dovrebbe arrivare tra non molto.
Obiettivo: migliorare i risultati della chemioterapia
Come sempre, l’approvazione arriva dopo anni di studi e ricerche. Non solo. L’ok dato al talazoparib si basa sui risultati dello studio Embraca, il più grande studio di fase III (randomizzato, aperto) eseguito fino a oggi su un inibitore di Parp in pazienti con questo tipo di tumore.
16 paesi, 400 pazienti coinvolti, con un unico obiettivo: confrontare l’efficacia del farmaco con la chemioterapia standard scelta dal medico per il trattamento del tumore al seno.
I risultati sono stati del tutto soddisfacenti. Le donne curate con talazoparib hanno registrato una sopravvivenza libera da progressione di 8,6 mesi rispetto ai 5,6 mesi delle pazienti trattate con la classica chemioterapia. Non solo. Nel complesso, il farmaco in analisi ha fatto registrare una riduzione del 46% del rischio di progressione della malattia. Certo, non sono mancati gli effetti indesiderati: affaticamento, anemia, nausea, trombocitopenia e cefalea sono stati i più comuni.
La buona notizia, però, è che gli studi procedono per indagare l’efficacia di talazoparib per il trattamento di altre forme tumorali, come il carcinoma mammario triplo negativo e sul cancro alla prostata. Inoltre si cercano nuove combinazioni con terapie mirate anche per altri tumori solidi.