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Vaginismo: una condizione “limitante”

Redazione

Ultimo aggiornamento – 14 Aprile, 2020

Dolore vaginale: le cause

Dr. Giangranco Blaas, specialista in ginecologia e ostetricia dal 1971. Prima assistente e poi aiuto corresponsabile dal 1970 al 1996 alla maternità di Borgo Trento a Verona. Poi direttore di Ostetricia e ginecologia alla ULSS 22, Ospedale di Bussolengo. Dal 2000, Direttore dipartimento materno infantile della ULSS 22. Oggi in pensione, esercita da libero professionista. 


Diversi sono i disturbi che possono coinvolgere la donna nella sua sessualità e, tra questi, il dolore durante i rapporti.

Abbiamo rivolto alcune domande al dr. Gianfranco Blaas, specialista in ginecologia, per capire quali possono essere le cause del fastidio e come la serenità della paziente può influire in questi casi.

Quali sono le cause più comuni dei rapporti sessuali dolorosi?

Quando il rapporto sessuale è doloroso, se non impossibile, la prima cosa cui pensare sono le cause anatomiche: un imene fibroso (in cui l’orifizio è parzialmente occluso da un tralcio connettivo-mucoso paracentrale o centrale), che ne diminuisce il diametro.

Altra causa è addirittura la mancanza di vagina: sindrome di Rokitansky, per cui a un aspetto quasi normale di genitali esterni corrisponde, per causa genetica non ereditaria, la mancanza di un canale vaginale, cui si accompagna mancanza di utero e atrofia di grado più o meno elevato tubo-ovarica. Il rimedio può essere solo chirurgico.

Altra causa, peraltro molto più diffusa di quanto si pensi, è il vaginismo: caratterizzato, a volte, da “piccole variazioni anatomiche”, quali un modesto restringimento dell’orifizio a livello imenale, così come da varianti ossee del bacino o dell’apice dell’osso sacro (congenite o acquisite post-trauma). Variazioni tali, comunque, da non impedire il rapporto, ma che inducono nella donna un difficile approccio con l’altro sesso.

Qui si inseriscono peraltro motivazioni di vario tipo: sociale, educazionale, pseudo-moralistico che sicuramente peggiorano la situazione al punto che ogni rapporto diventa alla fine impossibile o accettato con estremo sacrificio.

L’implicazione psicologica, evidentemente è la causa prevalente, peraltro non sempre riconducibile alla personalità della donna in oggetto. A questo proposito, sicuramente già il ginecologo dovrà avere capacità di indagine psicologica, ma poi questo tipo di applicazione specialistica (molto ben individualizzata nell’operatore che interviene) deve essere rivolta non solo alla donna interessata, ma alla coppia: non vi è speranza di risoluzione se non vi è partecipazione condivisa.

Tra le patologie organiche che inducono dolore nei rapporti, io ritengo che la più frequentemente implicata sia la endometriosi, legata alla presenza di tessuto che normalmente riveste la superficie interna dell’utero e che ogni mese, sotto influsso ormonale, subisce delle variazioni. Tali variazioni portano, in sintesi, o alla formazione di pseudo-cisti, per lo più a livello ovarico, ma spesso a sindromi aderenziali, soprattutto tra vagina e retto o tra vagina e parete vescicale posteriore.

Tali aderenze, nei momenti in cui vi è maggior afflusso di sangue nel piccolo bacino, come nel periodo pre e mestruale, o in coincidenza con periodi di stipsi intestinale, ma anche in occasione di rapporti, portano al dolore, che può diventare di intensità tale da impedire il rapporto.

Come trattare questo tipo di disturbi?

Le terapie per cercare e sottolineo “cercare” di risolvere queste situazioni son varie: dalle terapie mediche o con soli progestinici o con farmaci più complessi, che possono portare a un blocco della ovulazione e terapia chirurgica (peraltro da affrontare solo affidandosi a grossi esperti nel campo della laparoscopia con eventuale uso di laserterapia) e che vanno scelte oculatamente caso per caso.

Purtroppo, per chiudere l’argomento, devo dire che il più grande pericolo della endometriosi è che la diagnosi è spesso tardiva.
Per ultima, prendiamo in considerazione una patologia tanto poco conosciuta, quanto più complessa: la vulvodinia o vestibolodinia. Trattasi di patologia dolorosa che interessa la vulva in toto o il solo vestibolo vulvovaginale, ma che può interessare poi anche la zona perianale e tutta la zona superficiale del bacino.

La patogenesi non è ancora del tutto ben chiarita, ma alla base sembra vi sia una proliferazione anomala di cellule che, in teoria, sarebbero a nostra difesa: i mastociti o “mastzellen”, che l’organismo produce a difesa di insulti infiammatori in varie sedi del nostro organismo. Tale esubero di mastociti porterebbe poi a una formazione di neuroni sensitivi in eccesso nella zona, e il tutto scatenerebbe questa sensazione urente di dolore che, solo inizialmente, è svelata dal toccare i “punti “ interessati, per poi diventare un disturbo invalidante, indipendente dal tatto.

Alla base, vi sarebbero inizialmente delle vulvovaginiti trascurate o mal diagnosticate, ma non sempre ciò risulta dalla anamnesi.
Perché dico complessa? Perché questa proliferazione iniziale di cellule mastocitarie dapprima risveglia solo dolore, ma a stretta successione temporale subentrano stati di frustrazione e di ansia che complicano sicuramente il quadro.

Aggiungiamo il malessere psicologico legato a delle relazioni che si interrompono o che, addirittura si impedisce che nascano (per paura del male) e si capisce la definizione di sindrome complessa. Altrettanto complessa e piena di dubbi la terapia: si deve ricorre a un approccio multidisciplinare della situazione, se si vuole sperare in un risultato. E tale approccio deve essere sempre coordinato e finalizzato, cercando di coinvolgere nella cura la paziente, la coppia e anche i familiari, allo scopo di crearle attorno un ambiente che riesca a non farla sentire isolata o “anormale”.

Vi sono attualmente centri polispecialistici che affrontano il problema. Inutile dire che anche in questo caso, come per l’endometriosi, il guaio più grosso è quello di una diagnosi tardiva, perché è una patologia poco conosciuta anche in campo medico, nonostante, ad esempio, risulti coinvolgere il 14% circa della popolazione degli USA in età fertile.

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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