Scienziati scoprono cause e cura dell’Alzheimer grazie all’Intelligenza Artificiale

Mattia Zamboni | Seo Content Specialist

Ultimo aggiornamento – 19 Maggio, 2025

Due medici osservano e analizzano insieme una serie di immagini di risonanza magnetica cerebrale, esaminate alla luce di una finestra.

Un team di ricerca statunitense, guidato da scienziati dei dipartimenti di Neuroscienze e Bioingegneria dell'Università della California di San Diego (insieme ai colleghi dell'Istituto di Ingegneria in Medicina, del Programma in Bioinformatica e Biologia dei Sistemi e della Scuola di Scienze Biologiche) si sono avvalsi dell’utilizzo dell’IA nell’individuazione delle cause e della possibile cura per l’Alzheimer spontaneo.

Gli scienziati hanno documentato il tutto all’interno di uno studio pubblicato su Cell: scopriamo di cosa si tratta.

La scoperta

Per arrivare alle conclusioni inserite nella ricerca, gli studiosi si sono basati su indagini passate che avevano rilevato come maggiori livelli di proteine prodotte dall’enzima fosfoglicerato deidrogenasi (PHGDH) – già associato alla più diffusa forma di demenza – fossero legati ad una maggior velocità di progressione del morbo di Alzheimer.

Nel nuovo studio, invece, è stato evidenziato che alti livelli di PHGDH sono anche in grado di modificare l'attività di altri due geni presenti negli astrociti (cellule gliali che supportano i neuroni, proteggono il tessuto cerebrale e ripuliscono il cervello da determinate sostanze di scarto), andando a favorire l'infiammazione e a influenzare la rimozione dei composti da scartare.

Questo spiegherebbe il motivo per cui i pazienti con Alzheimer presentano un'espressione maggiore dall’enzima fosfoglicerato deidrogenasi.

Il ruolo dell’Intelligenza Artificiale

I ricercatori, facendo ampio uso di IA, hanno cercato di individuare delle molecole in grado di inibire il PHGDH – senza però eliminarlo del tutto, dal momento che produce serina, un neurotrasmettitore essenziale in molteplici processi biologici.

È stato, dunque, individuato un potenziale farmaco (chiamato NCT-503) capace di bloccare i meccanismi che influenzano negativamente la funzione astrocitaria: questo è stato testato su topi con la forma murina dell'Alzheimer, osservando un significativo miglioramento dell'ansia e della memoria – i due segni peculiari di questo disturbo degenerativo.

Sempre ricorrendo all’Intelligenza Artificiale, gli studiosi hanno analizzato la struttura tridimensionale dell'enzima prodotto dal gene, scoprendo la presenza di una sottostruttura capace di attivare i geni sugli astrociti: si tratta dei responsabili degli squilibri associati alla neurodegenerazione (e all'Alzheimer spontaneo).

Come è logico pensare, si è ancora molto lontani da una terapia commerciale in grado di curare l'Alzheimer, ma queste scoperte – come affermano anche i firmatari dello studio – gettano le basi per lo sviluppo di un trattamento potenzialmente efficace, alla luce del rapporto di causa – effetto evidenziato nelle varie fasi sperimentali.

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Scritto da Mattia Zamboni | Seo Content Specialist

Ho conseguito la laurea in Scienze della Comunicazione con un particolare focus sullo storytelling. Con quasi un decennio di esperienza nel campo del giornalismo, oggi mi occupo della creazione di contenuti editoriali che abbracciano diverse tematiche, tra cui salute, benessere, sessualità, mondo pet, alimentazione, psicologia, cura della persona e genitorialità.

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