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Morirai entro 3 giorni

Stefania Virginio

Ultimo aggiornamento – 05 Luglio, 2016

Dna dopo la morte

Anche se riportare le persone indietro dalla morte è ancora un po’ al di là della portata anche degli scienziati più morbosamente ambiziosi, la nuova ricerca ha indicato che esiste effettivamente una parvenza di vita dopo la morte, basandosi specialmente su alcuni geni. Secondo un nuovo studio, pubblicato sulla rivista BioRxiv, analizzare i livelli di attività di questi geni zombie potrebbe aiutare i ricercatori a determinare con maggiore precisione il tempo di morte di un cadavere.

La ricerca

Durante la nostra breve esperienza mortale su questa terra, il nostro DNA è periodicamente letto e trascritto, con un enzima chiamato mRNA in qualità di intermediario tra la nostra informazione genetica e la sintesi delle proteine codificate da questi geni. Quando moriamo, quindi, sembra logico immaginare che questo processo semplicemente si fermi.

Tuttavia, dopo aver analizzato i livelli di mRNA nei tessuti prelevati dal cervello e dal fegato di topi e pesce zebra poco dopo che erano stati “sacrificati”, gli autori dello studio hanno scoperto che i livelli di mRNA, associati ad alcuni geni, in realtà ricevevano un’impennata nei giorni dopo la morte, indicando un aumento nella trascrizione.

In totale, hanno osservato 36.811 geni di pesce zebra e 37.368 geni di topi, scoprendo che l’mRNA è sovraregolato a vari intervalli post mortem in 548 geni di pesce zebra e in 515 geni del topo. Curiosamente, non tutti i geni si sono svegliati nello stesso momento, qualcuno ha raggiunto un picco di attività da non morti 24 ore dopo la morte e altri hanno raggiunto il loro massimo il giorno dopo.

L’utilità della scoperta

Analizzando questi livelli di mRNA e procedendo a ritroso, i ricercatori hanno scoperto che sono in grado di prevedere con precisione quando ogni animale fosse morto, e sostengono che se questi risultati possono essere replicati negli esseri umani; saranno poi gli investigatori forensi a individuare il momento della morte in una scala di minuti invece che di giorni.

Tuttavia, il processo non è senza complicazioni, dato che gli autori dello studio sono stati in grado di predire con successo il momento della morte con i trascritti genici tratti dai fegati degli animali, ma non dal loro cervello.

Indipendentemente da ciò, i ricercatori ritengono che potrebbe essere già qualcosa, e la loro speranza è che la loro tecnica possa essere usata un giorno, non solo per determinare da quanto tempo i cadaveri sono tali, ma anche per migliorare il tasso di successo del trapianto di organi umani. Infatti, dal momento che alcuni dei geni che si svegliano dopo la morte sono coinvolti nella regolazione della suscettibilità del corpo al cancro, continuando questa ricerca si potrebbe arrivare a una migliore comprensione del perché i riceventi gli organi tendano a sviluppare tumori così regolarmente.

Cosa si prova a essere morto? Il paziente che “è morto” dice che non c’è nulla dopo la morte

Vuoto, solo nero. Nessun pensiero, coscienza, niente“. Questa è la vista della vita dopo la morte di un uomo che è ‘morto’ in ospedale per ben due volte.

La testimonianza

Ma siamo davvero sicuri che dopo la morte ci sia qualcosa? Un uomo che è stato sul punto di morire per ben due volte ha riportato la sua testimonianza.

La sua prima ‘morte’ era in seguito a un incidente in moto, in cui è morto per due minuti perché il suo corpo si era fermato a causa del dolore e dei danni fisici riportati. Non aveva nessun impulso, non respirava ed era privo di coscienza.

La sua seconda volta stava soffrendo moltissimo perché aveva appena subito un intervento, così ricevette un sacco di antidolorifici. Il dolore, accoppiato a una quantità immensa di antidolorifici, causò in lui un abbassamento del battito cardiaco a circa 10 bpm e bloccò il suo sistema respiratorio.

Della sua esperienza da morto, egli dichiara: “È stato solo il vuoto nero. Nessun pensiero, coscienza, niente. Entrambe le volte semplicemente non c’ero. Era soltanto tutto nero. Lo descriverei come la sensazione di quando si fa un pisolino. Un breve sonnellino senza sogni, ci si sveglia e ci si sente come se si avesse dormito a lungo, quando in realtà è stato solo per circa 15 minuti”.

Tuttavia, è stato interrogato sul se fosse “tutto solo nero” o se avesse vissuto un vuoto di memoria.

Ma ha risposto con certezza: “Sicuramente non era solo una lacuna della memoria, era molto simile a un pisolino senza sogni, non appena ti svegli senti come se il tempo avesse appena fatto un salto in avanti. Lo sai che sei stato addormentato per un po’. Allo stesso tempo, non si può davvero ricordare nulla, a meno che non si stesse sognando. Quindi sì e no. Ho sperimentato qualcosa, e quel qualcosa era niente“.

Egli sostiene che le persone che parlano di esperienze pre-morte, in cui si può vivere un potere più alto, sono ancora coscienti in qualche modo.

Dichiara ancora: “Credo che nei loro casi, le loro menti fossero ancora attive. Quello che hanno sperimentato era solo una specie di sogno. Sono sempre stato un ateo, ma ho sempre avuto una parte di me che sperava ci fosse un Dio o qualcosa in cielo più grande di noi. Voglio dire, chi non vorrebbe che ci fosse un Paradiso? Sono ancora ateo, e ora so che non esiste una cosa come Dio o il cielo. Almeno non per me. Il mio ragionamento dietro a questo è che nessun Dio avrebbe mai messo una persona e una famiglia in una tale esperienza. La morte è la morte. Una volta che si è morti, ecco, è finita“.

La storia dell’uomo arriva in un momento in cui la fede in una vita dopo la morte è aumentata, nonostante il contemporaneo aumento dei livelli di ateismo.

I ricercatori hanno scoperto che il numero di atei negli Stati Uniti è a un livello record, quasi raddoppiati tra il 1984 e il 2014, al 22%. Ma in un periodo simile, tra il 1972 e il 2014, la fede nella vita dopo la morte è salita dal 73% all’80%.

Lo studio, condotto dall’Università Statale di San Diego, ha interrogato quasi 59.000 persone e ha scoperto che le donne sono più propense a credere al paradiso rispetto agli uomini e quelli con un più alto livello di istruzione hanno meno probabilità di essere religiosi.

Jean Twenge, professore di psicologia presso l’università, ha detto: “È stato interessante il fatto che meno persone partecipavano alla religione, ma più persone credevano a una vita ultraterrena”.

Uno studio separato della Case Western Reserve University, in Ohio, ha scoperto che gli atei hanno più intelligenza analitica rispetto alle persone religiose, ma possiedono anche un’intelligenza meno emotiva e sono meno empatici.

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Stefania Virginio
Scritto da Stefania Virginio

Sono Stefania e sono una friulana doc! Da quando mi hanno dato in mano la prima matita alle elementari non ho mai smesso di scrivere, e nemmeno di leggere tutto quello che mi passa sotto gli occhi.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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