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Gli ultrasuoni per curare l’Alzheimer

Paolo Pate | Blogger

Ultimo aggiornamento – 26 Marzo, 2015

Le scansioni a ultrasuoni sono molto utili per visionare l’interno del corpo umano. Utilizzando onde sonore ad alta frequenza, infatti, è possibile sia creare immagini di ogni organo interno, così da rilevare eventuali problemi, sia monitorare lo sviluppo di feti nel grembo materno.

Da poco, si è scoperto che le ecografie possono avere un altro scopo medico, piuttosto inaspettato: potrebbero aiutare a curare l’Alzheimer.

La ricerca

In un nuovo studio condotto su topi con il morbo di Alzheimer, alcuni scienziati hanno scoperto che la scansione con ultrasuoni del loro cervello da un lato ha contribuito a cancellare gli accumuli anormali di proteine ​associati con questa malattia, dall’altro ha anche migliorato la loro memoria. I topi sono molto diversi dagli esseri umani, ma se davvero questa scoperta risultasse essere sicura ed efficace anche per l’uomo, allora potrebbe essere uno strumento prezioso non solo per il trattamento del morbo di Alzheimer, ma anche per quello di altre malattie cerebrali simili. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine.

Gli studi sul morbo di Alzheimer

La malattia di Alzheimer (AD) è una malattia neurodegenerativa caratterizzata da un progressivo deterioramento cognitivo. Anche se la causa rimane da chiarire, si sa che il suo sviluppo è associato al restringimento del cervello ed alla formazione di placche in alcune aree. Queste placche consistono nell’unione di cellule morte e di in una proteina, chiamata beta-amiloide, che si aggrega in fibre anomale accumulate come elementi tossici al di fuori delle cellule.

Molte ricerche sull’Alzheimer sono quindi concentrate sulla prevenzione della formazione di questi aggregati e sulla loro cancellazione dal cervello.

Gli scienziati si trovano però ad affrontare un problema: il cervello è protetto da un delicato strato di cellule, la barriera emato-encefalica, che è molto difficile da attraversare, anche per agenti terapeutici o anticorpi. Si è quindi cercato di sviluppare modi per aprire temporaneamente questa barriera, per permettere a farmaci e componenti del sistema immunitario di entrare, così da provare ad analizzare le proteine ​​problematiche.

Gli ultrasuoni: una nuova frontiera

Alcuni anni fa, gli scienziati hanno scoperto che la combinazione di ultrasuoni con innocue bolle microscopiche, utilizzate come mezzi di contrasto ecografici, potrebbe essere una tecnica efficace per aprire la barriera. Le onde sonore, infatti, portano queste bolle a vibrare e ad espandersi e questo crea aperture transitorie nella barriera. Questa tecnica potrebbe migliorare la risposta di protezione del cervello alle proteine ​​tossiche.

Il nostro cervello è dotato di cellule, chiamate “microgliali”, adibite al rastrellamento di proteine ​​dannose; nelle proteine del morbo di Alzheimer, però, queste cellule sono in numero molto ridotto. Consentendo a componenti del sistema immunitario di attraversare la barriera, si potrebbe agire per stimolare queste cellule a tornare in azione.

Per verificare questa ipotesi, gli scienziati del Queensland Brain Institute hanno utilizzato topi con il morbo di Alzheimer: ad un gruppo hanno iniettato nel cervello queste bolle microscopiche con gli ultrasuoni, altri li hanno semplicemente tenuti sotto controllo nel decorso della malattia. Hanno così scoperto che nei topi trattati con ultrasuoni si sono attivate le cellule microgliali, che hanno svolto la loro funzione e combattuto le proteine tossiche della malattia.

Rispetto ai primi controlli, il 75% di questi topi ha visto ridursi la presenza di proteine dannose e quasi tutte le placche sono state eliminate. Inoltre, questi animali hanno anche registrato risultati migliorativi su test di memoria.

Potrà davvero esserci un futuro di cure con gli ultrasuoni?

Questo studio è molto promettente, ma ancora non è possibile sapere se sia sicuro ed efficace anche per l’uomo. Come hanno giustamente sottolineato alcuni esperti, infatti, è vero che il trattamento non è invasivo, però esistono potenziali conseguenze negative ancora da verificare: penetrare la barriera protettiva del nostro cervello, lasciandolo così senza difese, seppur temporaneamente, è un rischio ancora non percorribile. Una ricerca avanzata in questo campo è dunque più che giustificata, così come l’ipotesi di utilizzare animali più grandi dei topi per i prossimi esperimenti.

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Scritto da Paolo Pate | Blogger

Scrittura, volontariato, lettura, sport, viaggi… sono davvero tante le passioni che possono descrivermi. In ognuna di queste cerco di mettere tutto me stesso per non smettere mai di crescere, cercare la mia strada ed essere felice.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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