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4,5 milioni di italiani rinunciano alle cure: ecco perché

Arianna Bordi | Editor

Ultimo aggiornamento – 22 Aprile, 2024

Donna ricoverata in ospedale viene monitorata da una dottoressa

Il rapporto a seguito dell’indagine BES (Benessere Equo e Sostenibile) a opera dell’Istat (Istituto nazionale di statistica), nello specifico la sezione sulla “Qualità dei servizi”, riporta che durante il 2023 circa 4,5 milioni di cittadini hanno dovuto rinunciare a visite mediche o accertamenti diagnostici per ragioni legate a problemi economici, liste di attesa o difficoltà di accesso, rappresentando il 7,6% della popolazione: un aumento rispetto al 7% del 2022 e al 6,3% del 2019.

Vediamo di seguito il quadro generale delineato dall’indagine.

Rinuncia alle cure: ecco qualche dato

Si nota un raddoppio nella percentuale di persone che hanno rinunciato a causa di liste d'attesa (dal 2,8% nel 2019 al 4,5% nel 2023), mentre la rinuncia per motivi economici è rimasta stabile (dal 4,3% nel 2019 al 4,2% nel 2023), ma in aumento rispetto al 2022.

Sul fronte territoriale, l'incremento registrato nel 2023 rispetto all'anno precedente è particolarmente marcato nelle regioni del Centro (passando dal 7,0% all'8,8%) e del Sud (dall'6,2% al 7,3%).

Questo fenomeno riporta la presenza delle differenze geografiche che si erano attenuate tra il 2020 e il 2021 e completamente svanite nel 2022: nel Centro si osserva la percentuale più elevata di rinuncia (8,8%), seguita dal Sud con il 7,7%, mentre il Nord, con il 7,1%, mantiene lo stesso livello del 2022.

La quota di anziani assistiti in Assistenza domiciliare integrata (ADI) è in costante aumento, passando dal 2,9% nel 2019 al 3,3% nel 2022, ma con una forte variabilità territoriale: dal 3,8% nel Nord-est al 2,6% nel Sud.

Considerando anche l'assistenza residenziale, il Nord-Est rimane l'area con la maggiore presa in carico di anziani fragili (6,2% nel 2021), mentre il Sud presenta la percentuale più bassa (2,8% nel 2021).

Nonostante al momento sia sotto controllo rispetto al passato, l’incremento di persone che rinunciano alle visite di controllo registrato potrebbe essere attribuibile al recupero delle prestazioni sanitarie differite a causa della pandemia di Covid-19 e alle sfide nell'efficace riorganizzazione dell'assistenza sanitaria.

Molte strutture sanitarie hanno ancora difficoltà nel recuperare le prestazioni saltate durante l'emergenza, e la mancanza di medici rende difficile la riorganizzazione delle attività.

Per quanto riguarda i costi, l'inflazione continua a crescere più rapidamente degli stipendi, incidendo pesantemente sui bilanci delle famiglie.

Inoltre, un altro aspetto preoccupante è l'incremento della rinuncia alle prestazioni sanitarie all'aumentare dell'età, quando, paradossalmente, ci sarebbe una maggiore necessità di accedere a tali servizi.

Nel 2023, partendo dall'1,3% riscontrato nei bambini fino ai 13 anni, la percentuale raggiunge un picco tra gli adulti di età compresa tra i 55 e i 59 anni, toccando l'11,1%, per poi rimanere elevata tra gli anziani di 75 anni e più (9,8%): in sintesi, uno su dieci oltre i 55 anni rinuncia alle cure necessarie.

Le differenze di genere confermano le tendenze già note: la percentuale di rinuncia è del 9% tra le donne e del 6,2% tra gli uomini, con un divario che si amplifica ulteriormente nell'ultimo anno a causa dell'aumento registrato tra le donne adulte.

Liste d’attesa troppo lunghe: un grande ostacolo all’assistenza sanitaria

I tempi di attesa si prolungano quando c'è uno sbilanciamento tra la richiesta e l'offerta, ovvero quando il numero di richieste di esami e visite supera le prestazioni disponibili.

Per influenzare i tempi di attesa, dunque, sarebbe necessario intervenire o sulla domanda, cioè sulle prescrizioni di esami e visite fatte dai medici di famiglia o ospedalieri, o sull'offerta, aumentando il numero di prestazioni disponibili.

Spesso, si osserva uno squilibrio evidente tra le liste d'attesa nelle strutture pubbliche e quelle private accreditate: quelle negli ospedali pubblici sono notevolmente più lunghe, mentre i privati hanno tempi di attesa più brevi grazie a organizzazioni più flessibili e alla possibilità di concentrarsi sulle prestazioni più redditizie.

Inoltre, c'è la possibilità di accedere all'attività "libero-professionale intramuraria", nota anche come "intramoenia", che consente ai medici di esercitare la libera professione nelle strutture sanitarie pubbliche al di fuori dei loro turni di lavoro per il SSN.

Questo sistema, introdotto nel 1999, permette ai medici di effettuare visite a pagamento, con una parte dei ricavi che va all'ospedale e una parte a loro. 

Nonostante sia nato per ridurre il numero di pazienti che si rivolgevano a cliniche private, attualmente si sta sostituendo alle prestazioni con ticket poiché sempre più persone ne usufruiscono per evitare lunghe attese. 

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Arianna Bordi | Editor
Scritto da Arianna Bordi | Editor

Dopo la laurea in Letteratura e Lingue straniere, durante il mio percorso di laurea magistrale mi sono specializzata in Editoria e Comunicazione visiva e digitale. Ho frequentato corsi relativi al giornalismo, alla traduzione, alla scrittura per il web, al copywriting e all'editing di testi.

Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
Arianna Bordi | Editor
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