Declino cognitivo, arriva il farmaco anti Alzheimer approvato dall’EMA: ecco quando

Mattia Zamboni | Seo Content Specialist

Ultimo aggiornamento – 18 Novembre, 2024

Un signore anziano dal medico

Il Lecanemab, un farmaco anti Alzheimer che rallenta il declino cognitivo, è stato approvato dal Comitato per i Prodotti Mediciali ad Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA).

Ecco come funziona e quando sarà disponibile nel nostro paese.

Lecanemab: come funziona?

L'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha approvato il Leqembi (nome commerciale del farmaco Lecanemab), un anticorpo monoclonale semi-sintetico sviluppato in laboratorio a partire da una immunoglobulina: questo farmaco sembra essere in grado di rallentare il costante declino cognitivo – caratteristica principale dell’Alzheimer.

Il Lecanemab è un anticorpo monoclonale sviluppato per colpire le placche di beta amiloide, proteine che si accumulano nel cervello, contribuendo alla neurodegenerazione associata alla demenza. Come i grovigli di proteina tau, queste placche sono considerate uno dei principali responsabili della progressione dell’Alzheimer.

I trial clinici hanno dimostrato che il Lecanemab, eliminando queste placche, può rallentare il declino cognitivo. Ad esempio, una ricerca della Scuola di Medicina dell’Università di Yale ha evidenziato che, nei pazienti con Alzheimer lieve, il farmaco riduce la progressione della malattia del 27%. Questo risultato, considerato storico, offre una nuova speranza in un contesto in cui l’Alzheimer è ancora incurabile e le opzioni terapeutiche valide sono limitate.

La recente indagine dell’EMA si è concentrata sui dati di circa 1.500 pazienti con una o nessuna copia del gene ApoE4. I risultati hanno confermato che il Lecanemab è efficace nel rallentare la malattia rispetto al placebo. Misurando la progressione tramite la scala di valutazione della demenza CDR-SB, è emerso che, a 18 mesi dall’inizio del trattamento, il punteggio medio è aumentato di 1,22 punti nei pazienti trattati con Lecanemab, contro 1,75 di quelli che hanno ricevuto il placebo (valori più alti indicano una demenza più grave).

Questi dati dimostrano che il Lecanemab può rappresentare una svolta per i pazienti con Alzheimer e deterioramento cognitivo in fase iniziale: si tratterebbe di un bisogno sempre più urgente, considerando che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i casi di Alzheimer sono destinati a triplicare entro il 2050.

Ora si attende il via libera definitivo dell’EMA e dell’AIFA per la commercializzazione del farmaco in Italia.

Le difficoltà di approvazione

Il medicinale era già stato approvato nel 2023 dalla FDA (Food ad Drug Administration), ovvero l’agenzia federale americana che si occupa di regolamentare terapie, dispositivi medici e prodotti alimentari; lo scenario che si prospetta ora, dopo il via libera dell'EMA, è quello di attendere l'ok definitivo da parte della Commissione Europea per la messa in commercio (che dovrebbe arrivare nel giro di un paio di mesi).

Presumibilmente, arriverà anche l'approvazione da parte dell'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), che dovrebbe rendere disponibile la terapia entro la prima metà del 2025.

A luglio, il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) aveva inizialmente negato l’autorizzazione per l’uso dell’anticorpo monoclonale in tutti i pazienti affetti da Alzheimer e deterioramento cognitivo.

Il motivo principale era legato ai rischi di sicurezza per chi possiede due copie del gene ApoE4 che, codificando per la proteina apolipoproteina E, è associato a un rischio maggiore di demenza.

In particolare, i portatori di due copie del gene ApoE4 hanno un rischio elevato di sviluppare ARIA (anomalie di imaging correlate all’amiloide), una condizione che può causare gonfiore e sanguinamento cerebrale.

Sebbene l’ARIA possa verificarsi spontaneamente nei pazienti con demenza, l’assunzione di Lecanemab ha mostrato, nei trial clinici, di aumentarne significativamente il rischio, rendendolo un effetto collaterale grave.

Di conseguenza, il CHMP aveva concluso che i rischi del trattamento superavano i benefici per questa specifica classe di pazienti, portando a un rifiuto generale dell’autorizzazione.

Tuttavia, una nuova revisione dei dati ha evidenziato che il rischio di ARIA è molto più basso nei portatori di una sola copia o nessuna del gene ApoE4. Per questo motivo, il farmaco è stato approvato per i pazienti con Alzheimer o deterioramento cognitivo allo stadio iniziale (con sintomi lievi come problemi di memoria e linguaggio) che non rientrano nella categoria più a rischio.

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Scritto da Mattia Zamboni | Seo Content Specialist

Ho conseguito la laurea in Scienze della Comunicazione con un particolare focus sullo storytelling. Con quasi un decennio di esperienza nel campo del giornalismo, oggi mi occupo della creazione di contenuti editoriali che abbracciano diverse tematiche, tra cui salute, benessere, sessualità, mondo pet, alimentazione, psicologia, cura della persona e genitorialità.

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