La luce solare è in grado di neutralizzare SARS-CoV-2 in tempi molto rapidi. Gli scienziati sono però rimasti stupiti dal fatto che i raggi UVB fossero più lenti del tempo previsto dai modelli teorici elaborati in precedenza di ben otto volte. Questo li ha spinti a indagare anche altre tipologie di raggi solari.
In generale, infatti, i raggi ultravioletti risultano non solo più veloci ma anche più efficienti nel distruggere le particelle virali responsabili della pandemia da Covid-19.
La correlazione tra luce solare e neutralizzazione di SARS-CoV-2 è evidente anche dal fatto che in estate le particelle virali vengono quasi completamente inattivate nell'arco di 30 minuti, mentre in inverno arrivano a resistere per giorni, per via della minore radiazione dei raggi solari. Quale tipologia di raggi è però responsabile della neutralizzazione?
Covid-19 e raggi solari: lo studio
Lo studio è stato condotto da un team dell'Università di Santa Barbara in California, che ha collaborato con l'Istituto svizzero per l'Ingegneria Ambientale dell'Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo e con il Dipartimento di Matematica dell'Università di Manchester e del Translational and Integrative Sciences Center, Dipartimento di Tossicologia Molecolare dell'Università Statale dell'Oregon.
Il tutto è stato coordinato dal professor Paolo Luzzatto-Fegiz, docente presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell'ateneo statunitense e poi pubblicato su The Journal of Infectious Diseases.
La ricerca ha ripreso uno studio del luglio 2020 sempre pubblicato su The Journal of Infectious Diseases, che aveva scoperto che il 90% delle particelle virali che causano Covid-19 poteva essere neutralizzato dai raggi solari forti in 8 minuti in un "mezzo" salivare e in 14 minuti in terreno di coltura.
A livello teorico, i raggi UVB dovrebbero quindi reagire con l'RNA della sostanza patogena, distruggendola dall'interno. Tuttavia i dati sperimentali e quelli attesi hanno mostrato una grande discrepanza: i raggi UVB sarebbero molto più lenti del previsto. Questo ha portato il professor Luzzatto-Fegiz e il suo team a indagare più a fondo. In sostanza, si è scoperto che i raggi UVB non sono sufficienti a filtrare le particelle virali: la correlazione deve quindi dipendere dai raggi UVA, mentre i raggi UVC, come è noto, vengono filtrati dall'atmosfera terrestre.
Il ruolo dei raggi UVA
«La gente pensa che gli UVA non abbiano molto effetto, ma potrebbero interagire con alcune delle molecole del mezzo» ha dichiarato il professore in occasione di un comunicato stampa. «Quelle molecole intermedie reattive a loro volta potrebbero interagire con il virus, accelerando l'inattivazione. È un concetto familiare a coloro che lavorano nel trattamento delle acque reflue e in altri campi della scienza ambientale» aggiungono poi gli autori dello studio.
«Gli scienziati non sanno ancora cosa sta succedendo. La nostra analisi indica la necessità di ulteriori esperimenti per testare separatamente gli effetti di specifiche lunghezze d'onda della luce e composizione media» ha poi concluso Luzzatto-Fegiz.
Se la pista seguita è corretta, si potrebbe pensare di sterilizzare gli ambienti con una combinazione di raggi UVB e UVA. Più nello specifico, sarebbe utilissima l'installazione di lampadine UVA, da collocare su luoghi come i mezzi pubblici, le scuole e gli uffici.
Sono però necessarie nuove ricerche per confermare queste ipotesi. Nel frattempo, attendiamo tutti molto fiduciosi l'arrivo della bella stagione.