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SARS-CoV-2

Microbiologia e virologia
SARS-CoV-2

Cosa significa SARS-CoV-2

SARS-CoV-2 sta per Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2 ossia Coronavirus 2 da sindrome respiratoria acuta grave; si tratta, appunto, di un virus che colpisce le vie respiratorie appartenente alla famiglia dei coronavirus. Tale nome è dovuto alla presenza di tante piccole punte sulla superficie del virus, che lo rendono simile una corona.

I coronavirus o Coronaviridae sono una grande famiglia di virus, in grado di infettare sia gli esseri umani che gli animali. Numerosi coronavirus possono causare infezioni nell’uomo con una sintomatologia tipicamente a carico dell’apparato respiratorio, ma di gravità variabile che va dai sintomi del comune raffreddore fino a manifestazioni più gravi e, in casi estremi, morte.

Attualmente, in tutto il mondo esistono sette ceppi di coronavirus: quattro sono stati identificati a partire dalla prima metà degli anni Settanta e sono: 

  • 229E (coronavirus-α);
  • NL63 (coronavirus-α);
  • OC43 (coronavirus-β);
  • HKU1 (coronavirus-β).
A questi, si aggiungono i tre ceppi di più recente identificazione quali: 

  • MERS-CoV (coronavirus-β che causa la MERS, ossia Middle East Respiratory Syndrome).
  • SARS-CoV (coronavirus-β che causa la SARS ossia Severe Acute Respiratory Syndrome).
  • SARS-CoV-2 (coronavirus-β che causa la COVID-19, conosciuto anche come nuovo coronavirus.).
I virus appartenenti alla famiglia delle Coronaviradae sono caratterizzati da materiale genetico a RNA a singolo filamento positivo, elevata variabilità genetica e spiccata capacità di ricombinazione: caratteristica che ne consente una facile diffusione, sia tra gli umani che tra gli animali.

Il risultato è una elevata diffusione di Coronaviridae sia tra le persone che gli animali senza che questi virus causino, nella maggioranza dei casi, sindromi patologiche gravi. Nonostante questo, può occasionalmente capitare che i virus, grazie alla ricombinazione genetica ed alla presenza in organismi detti “ospiti intermedi”, si evolvano in ceppi altamente patologici e pericolosi, come nei casi dei virus della SARS-CoV, MERS-CoV e SARS-CoV-2.

La sequenza di SARS-CoV-2 è composta, come si diceva, da particelle virali di RNA contenute in un involucro di proteine e circondate da un secondo involucro di membrana. Il suo sequenziamento è stato effettuato a partire da un campione di un paziente di polmonite dalla causa apparentemente sconosciuta.

SARS-CoV-2 e contagio

La via preferenziale di trasmissione del SARS-CoV-2 è l’inalazione di aerosol, ovvero di goccioline, che passano per via aerea da persone infette a sane, tramite saliva, tosse o starnuti, attraverso contatti diretti personali oppure tramite mani contaminate, con le quali si toccando poi bocca, naso e occhi.

Le goccioline di aerosol, inoltre, essendo troppo pesanti per rimanere in sospensione nell’aria, cadono rapidamente, adagiandosi sulle superfici, dove il SARS-CoV-2 può persistere e sopravvivere oltre 72 ore, se la superficie è in acciaio o in plastica, e per tempi minori anche sulla carta.

Il contagio di SARS-CoV-2 può verificarsi anche attraverso: 

  • Esposizione a tosse, starnuti, strette di mano o secrezioni della persona infetta.
  • Contatti con animali o persone o oggetti contaminati, a cui fa seguito manipolazione intorno alla bocca, al naso e agli occhi.
  • Contatto con i liquidi corporei di una persona infetta (come ad esempio le feci).
I dati della Protezione Civile, aggiornati al 07 gennaio 2022, fotografano la diffusione di SARS-CoV-2 in Italia con un totale di oltre 6 milioni di positivi confermati, di cui 138 mila deceduti.

Sempre con i dati riferiti al 07 gennaio 2022, i casi di coronavirus mondo invece arrivano a oltre 300 milioni di casi confermati e 5,47 milioni deceduti. Secondo l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), si tratta ormai da tempo di una vera e propria pandemia.

A questo proposito Richard Horton, direttore della rivista scientifica The Lancet, sostiene sia più accurato parlare di sindemia, non di pandemia, sottolineando quanto sia riduttivo e limitato gestire la situazione Covid-19 da un punto di vista meramente epidemiologico. «Abbiamo ridotto questa crisi a una mera malattia infettiva. Tutti i nostri interventi si sono concentrati sul taglio delle linee di trasmissione virale. La "scienza" che ha guidato i governi è composta soprattutto da epidemiologi e specialisti di malattie infettive, che comprensibilmente inquadrano l'attuale emergenza sanitaria in termini di peste secolare. Ma ciò che abbiamo imparato finora ci dice che la storia non è così semplice. Covid-19 non è una pandemia. È una sindemia».

Con queste parole Horton vuole portare all'attenzione la relazione tra questa malattia virale e le condizioni socio-economiche e ambientali nelle quali si inserisce: l'interazione tra questi aspetti li conferma e aggrava a vicenda. Per esempio, chi vive con un reddito basso e in una zona particolarmente inquinata risulta maggiormente esposto sia al Covid-19 che alle conseguenze che esso sta apportando all'ambito socioeconomico.

Se dunque i programmi pensati per gestire il coronavirus continueranno a ignorare il fenomeno dell'inquinamento e degli effetti della povertà (già esistente o indotta dalle restrizioni derivanti dall'attuazione dei lockdown nazionali) sulla salute psico-fisica dei cittadini, i programmi di salute pubblica non risulteranno efficaci, perché non riusciranno a garantire la salute di tutti i cittadini. 

Tasso di letalità di SARS-CoV-2

In epidemiologia, ossia la disciplina che studia la diffusione e l'andamento delle malattie, il tasso di letalità indica la proporzione, tipicamente espressa come percentuale, dei decessi causati da una determinata malattia sul totale dei soggetti ammalati in un determinato arco temporale.

Stando ai dati a nostra disposizione, il tasso di letalità di SARS-CoV-2 in Italia è di circa il 3,5%, secondo solo a quello di Messico (9,3%), Iran (4,8%) e pari a quello della Gran Bretagna (3,5%).

Tale indicatore risulta inferiore a quello di virus che hanno causato grandi epidemie negli ultimi decenni, come il virus della SARS, il cui tasso di letalità è di poco minore del 10%, il virus della MERS, con un tasso di mortalità del 35%, e di ebola, letale mediamente nel 50%, anche se ceppi più virulenti (come quello detto Zaire) superano il 90%.

Struttura di SARS-CoV-2

Nel Dicembre 2019 a Wuhan, in Cina, è stato isolato un nuovo virus appartenente alla famiglia delle Coronaviridae e denominato SARS- CoV-2 la cui sequenza virale mostra un’omologia di circa il 76% rispetto al virus che causò la pandemia di SARS nel 2002/2003.

Il SARS-CoV-2 presenta, così come gli altri coronavirus, una morfologia tondeggiante e dimensioni di 100-150 nm di diametro. La struttura di SARS- CoV-2 risulta composta da quattro proteine che formano la sua struttura, ossia:

  • Proteina S o Spike “Spike” viene dall’inglese e significa “punta”, “spuntone”. Essa forma delle proiezioni sulla superficie esterna del virus della lunghezza di circa 20 nm. La proteina Spike è suddivisa in due subunità: S1 ed S2. La subunità S1 è responsabile dell’attacco iniziale del virus alla cellula, mentre la subunità S2 contribuisce a fondere la membrana cellulare per inserirvi RNA virale al suo interno. Tre glicoproteine S unite compongono un trimero e i trimeri formano le strutture che, nel loro insieme, somigliano a una corona che circonda il virione. La glicoproteina S è quella che determina la capacità del virus di infettare le cellule epiteliali del tratto respiratorio, legando il recettore ACE2 (angiotensin converting enzyme 2), espresso dalle cellule dei capillari dei polmoni.
  • Proteina E che funge da involucro, è nota anche come dimero emmaglutinina-esterasi (HE). Si tratta di una proteina del rivestimento, più piccola della glicoproteina S, che svolge una funzione importante durante la fase di rilascio del virus all’interno della cellula ospite: la proteina E aiuta la glicoproteina S, e quindi il virus, ad attaccarsi alla membrana della cellula bersaglio.
  • Proteina M di membrana attraversa il rivestimento, detto “envelope”, interagendo all’interno del virione con il complesso RNA-proteina. L’envelope è il rivestimento del virus, costituito da una membrana che il virus “eredita” dalla cellula ospite dopo averla infettata.
  • Proteina N di Nucleocapside, contenente il genoma dell’RNA; il genoma del SARS-CoV-2 è costituito da un singolo filamento di RNA a polarità positiva di dimensioni considerevoli: da 27 a 32 kb. L’RNA dà origine a sette proteine virali ed è associato alla proteina N, che ne aumenta la stabilità.

Varianti di SARS-CoV-2

Come è noto, i virus mutano e nuove varianti si sviluppano grazie al normale processo evolutivo e di adattamento. A volte, le nuove varianti emergono e poi scompaiono, mentre, altre, con un vantaggio evolutivo, persistono, si diffondono fino a determinare le scomparsa delle precedenti.

In particolare, diverse varianti genomiche del virus SARS-CoV-2 individuate un po’ in tutto il mondo e, già dal luglio 2020, era stata identificata la variante di SARS-CoV-2 D614G che aveva sostituito quasi totalmente e in tutto il mondo la variante di virus G614, presente all’inizio della pandemia.

Le maggiori preoccupazione a carico delle varianti riguardano una possibile aumentata virulenza, un aumento della trasmissibilità e dell’inefficacia delle terapie, soprattutto in relazione al vaccino anticovid, fino a ora messo a punto e utilizzato.

Variante inglese di SARS-CoV-2

La prima variante di SARS-CoV-2 di cui ci è giunta notizia è quella del Regno Unito; conosciuta con il nome di B.1.1.7 o VOC 202012/01, si è resa nota per la elevata presenza di mutazioni e la rapidità di trasmissione.

La variante inglese è poi caratterizzata da diverse mutazioni (delezione 69/70, delezione 144Y, N501Y, A570D, D614G, P681H) ed è stata ad oggi identificata in più di 70 paesi, inclusa l’Italia. Nel gennaio del 2021, gli scienziati inglesi hanno riportato le prime evidenze che assocerebbero a tale variante sia un aumento della trasmissibilità, stimato del 50%, che della letalità.

Variante sudafricana di SARS-CoV-2

La variante africana di SARS-Cov-2 identificata, appunto, in Sudafrica prende il nome di B.1.351, o 501Y.V2, e si è evoluta da quella inglese in modo del tutto indipendente anche se con questa condivide alcune modificazioni genetiche. Le mutazioni che caratterizzano la variante sudafricana di SARS-CoV-2 sono: E484K, K417N, N501Y e D614G. 

Le prime evidenze sembrerebbero evidenziare una minor efficacia del vaccino ad RNA di MODERNA (mRNA-1273) nel contrastare sia le conseguenze più gravi da COVID-19 che la sua diffusione. Anche per quanto riguarda un aumento della trasmissibilità, così come della virulenza di tale variante, ulteriori studi devono essere effettuati.

Varante brasiliana di SARS-CoV-2

La variante brasiliana di SARS-Cov-2 prende il nome di P.1.

Essa è stata identificata per la prima volta in Giappone in delle persone che provenivano dal Brasile. La variante P1 possiede 17 mutazioni uniche, tre delle quali interessano il dominio di legame al recettore ACE2 della proteina Spike (K417T, E484K, and N501Y).

Questa evidenza suggerisce che l’abilità degli anticorpi, sia naturali che derivanti dall’immunizzazione con vaccino, potrebbe non essere sufficiente a riconoscere e neutralizzate questa variante. 

Variante italiana di SARS-CoV-2

Quasi quotidianamente ci arrivano notizie di diverse varianti italiane del Covid-19 identificate nel nostro Paese. Una di queste è stata individuata a inizio gennaio del 2021 e prende il nome di N501T.

Isolata a Brescia, la “variante italiana” circolerebbe in Italia dai primi di agosto, forse addirittura da luglio. Ad oggi, non è noto l’impatto di questa mutazione né sulla letalità, né sulla contagiosità, né sulla risposta al vaccino di questa variante.

Variante indiana di SARS-CoV-2

Attualmente, in India è stata identificata una nuova variante di SARS-CoV-2, nota come variante indiana e indicata con la sigla B.1.671, che attesta una doppia mutazione, E484Q e L425R, rispetto al ceppo originario.

La modifica 452R potrebbe consentire al virus di eludere alcuni anticorpi sviluppati tramite la vaccinazione, mentre quella E484Q che presenta delle somiglianze con la mutazione E484K della variante sudafricana, parzialmente resistente alla terapia vaccinale.

Detto questo, le mutazioni della variante indiana non è sicuro che renderanno i vaccini completamente inefficaci, perché la terapia vaccinale irrobustisce di molto le difese immunitarie.

Attualmente, dunque, la variante non sembra preoccupare molto, anche se la doppia mutazione fa pensare a una maggiore facilità di trasmissione.

Variante Omicron di SARS-CoV-2

Come riportato dall’Istituto Superiore di Sanità, la Variante Omicron, identificata con il codice B.1.1.529, è stata rintracciata per la prima volta in Sud Africa nel novembre 2021 e, in seguito, designata dall’OMS come “Variant of Concern”, ossia come una variante che desta preoccupazione.

La particolarità della variante riguarda la presenza di alcune mutazioni (G339D e Q493R) che potrebbero associarsi con un aumento della trasmissibilità, alla resistenza ai vaccini ed al rischio di reinfezione.

Per quanto riguarda la trasmissibilità della variante Omicron, infatti, il tempo risulta essere raddoppiato di 2-3 giorni rispetto alla variante Delta; dunque, la sua diffusione è molto rapida. In merito al rischio d’infezione, la quantità di dati disponibili è ancora limitata. Al momento, sembra che il rischio di ricovero sia minore rispetto alla variante Delta, ma è necessario comprendere anche l’eventuale ruolo dei vaccini o di infezioni precedenti. 

I vaccini risultano essere lo strumento migliore per contrastare il virus, per questo motivo è importante completare il ciclo vaccinale e sottoporsi ala dose di richiamo “booster” (terza dose) per scongiurare il rischio di malattia grave e di morte.  Nonostante la poca disponibilità di dati sull’efficacia dei vaccini contro la variante Omicron, si evidenzia che rispetto alla scarsa risposta delle due dosi, con la terza dose, l’efficacia aumenta in presenza di infezione con sintomi.

In generale, è importante osservare tutte le disposizioni per limitare la diffusione del virus, la possibilità di contagio e la presenza di nuove e possibili varianti. 

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Dr.ssa Gloria Negri Biologo
Dr.ssa Gloria Negri

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