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Mangiare nostrum

Redazione

Ultimo aggiornamento – 13 Novembre, 2020

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Non solo chiese, monumenti e centri storici tra i patrimoni mondiali dell’umanità. Il Comitato Intergovernativo dell’Unesco ha infatti iscritto la «dieta mediterranea» nella prestigiosa lista dei patrimoni immateriali. La dieta mediterranea è intesa quale stile di vita sostenibile basato su tradizioni e valori culturali secolari; amalgama un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, fino ad arrivare alle colture, alla raccolta, alla pesca, alla conservazione, alla preparazione e, in particolare, al consumo di cibo.

La dieta mediterranea è caratterizzata da un modello nutrizionale rimasto costante nel tempo e nello spazio, ricca di olio d’oliva, frutta, verdura e pesce, bassi quantitativi di carne rossa. Ma gli italiani la conoscono?

Al congresso nazionale dell’Adi (Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica) svoltosi a Roma, il Presidente Lucio Lucchin (direttore del Servizio di dietetica e nutrizione clinica del comprensorio sanitario di Bolzano) ha segnalato che l’80 per cento degli italiani dichiara di conoscere la dieta mediterranea. Le indagini alimentari qualificate, però, dicono che approfondendo l’argomento si scopre come il 55 per cento fornisca risposte sbagliate e il 25 non sappia proprio rispondere.

Consumi eccessivi

Quasi sempre si trascura il fatto che la dieta mediterranea sia caratterizzata dalla frugalità, associata a un consumo prevalente di cibi di origine vegetale. In realtà, lo stile mediterraneo ha subito negli ultimi anni un profondo cambiamento: sta diventando un ricordo per gli adulti e un capitolo di storia per i nostri bambini, ormai definiti «i più grassi d’Europa».

Diventano sempre più frequenti i pasti fuori casa, per necessità o pigrizia, e aumenta il consumo di cibi pronti più ricchi di zuccheri e grassi e sempre più distanti dal mediterraneo cibo da strada. Le quantità delle porzioni in Italia, dal dopoguerra a oggi, sono lievitate del 30-40 per cento, in controtendenza con le rilevazioni della comunità scientifica che segnalano una maggiore sopravvivenza con la restrizione calorica (dato già dimostrato negli animali da esperimento). Il nostro stile di vita è diventato prevalentemente sedentario, legato per trasporto e lavoro sempre più alle macchine, le quali si sono impadronite anche del tempo libero, riducendo il movimento e l’attività fisica. Poiché il grasso corporeo e il peso si accumulano quando il contenuto energetico degli alimenti e delle bevande introdotte supera l’energia richiesta dal metabolismo e dall’attività fisica dell’individuo, l’obesità è ormai diventata una patologia epidemica e gli interventi di prevenzione, finora, si sono dimostrati inefficaci. Per conoscere meglio il problema, l’Adi organizza ogni anno una giornata nazionale denominata «Obesity Day», grazie alla disponibilità dei Servizi di dietetica ospedalieri che forniscono note informative e questionari analoghi per tutto il territorio nazionale.

Nutrienti solo dal cibo

Oggi, sono molto diffusi gli integratori alimentari (nel 2010 il business ha sfiorato i 3 miliardi, fonte Nielsen). Queste sostanze, da un punto di vista scientifico, sono poco provate sull’uomo. Diversi studi dimostrano invece che frutta e verdura hanno effetti benefici non tanto per i singoli antiossidanti, quanto per la combinazione sinergica dei vari principi attivi. Studi epidemiologici hanno dimostrato come una più stretta aderenza alla dieta mediterranea sia associata a una longevità prolungata con un significativo miglioramento dello stato di salute, come è rilevato anche da una riduzione della mortalità per malattie cardiovascolari e delle più preoccupanti malattie degenerative. Queste evidenze supportano l’importanza di conoscere i meccanismi mediante i quali l’insieme dei nutrienti, assunti con la dieta mediterranea, espletano la loro azione.

Le origini della dieta mediterranea

Non bisogna confondere la dieta mediterranea con le solite diete diffuse dai periodici che si occupano di moda, o da altri «passaparola» che mirano a provocare una rapida sensazione di sazietà, inducendo a mangiare meno rispetto alle abitudini acquisite. Si tratta per lo più di diete monocibo (dieta delle patate, delle banane, del pompelmo, del minestrone), che dopo qualche settimana consentono di perdere qualche chilo. Però, passati alcuni mesi, chi si sottopone a simili abitudini le deve per forza abbandonare, sia per motivi di salute facilmente intuibili (sono squilibrate in alcuni principi nutritivi indispensabili), sia per motivi psicologici. È impossibile svolgere le innumerevoli mansioni della vita di tutti i giorni mangiando solo minestrone, o solo patate, o solo banane. Subentra la noia e si riprende a poco a poco l’alimentazione abituale: ovviamente il peso corporeo torna ai valori iniziali.

La dieta mediterranea, invece (più esattamente definita «modello alimentare mediterraneo»), è stata studiata da un fisiologo americano, Ancel Keys (1904 – 2004), il quale, soggiornando nell’Italia meridionale (al seguito delle truppe d’occupazione dopo la seconda Guerra mondiale) notò che il tipo di alimentazione dei contadini a sud di Salerno e della costa calabra (a base di verdure, ortaggi, frutta, pane, pasta, olio d’oliva, pesce, poca carne rossa) era notevolmente diverso da quello dei suoi coetanei statunitensi – abituati a enormi bistecche, hamburger, smisurate dosi di dolci ricchi di panna, zucchero, margarina, whisky, patate fritte, coca-cola. Soprattutto verificò che le malattie cardiovascolari avevano un’incidenza notevolmente inferiore a quella del Nord America.

Per dimostrare in modo scientificamente valido questa intuizione, Ancel Keys propose al Ministero della Salute degli Stati Uniti uno studio in cui fu preso in considerazione il modello alimentare di sette paesi (Stati Uniti, Finlandia, Paesi Bassi, Grecia, Italia, Jugoslavia, Giappone), con particolari indagini alimentari sulle scelte e le abitudini, su ricoveri ospedalieri e sui decessi, per verificare i benefici e i punti critici delle rispettive diete.

Da questi studi emerse chiaramente che il modo di mangiare migliore era quello mediterraneo (e la gastronomia italiana la più apprezzata). Si rilevarono le associazioni tra tipologia di dieta e rischio d’insorgenza di malattie croniche e si scoprì come il livello di acidi grassi saturi nella dieta e del colesterolo nel sangue rappresentassero un fattore in grado di spiegare le differenze nei tassi di mortalità e di prevedere i tassi futuri di malattie coronariche nelle popolazioni analizzate.

L’interesse della comunità scientifica internazionale nei confronti della dieta mediterranea è tuttora estremamente vivo, tanto che sono sempre più frequenti le pubblicazioni relative all’associazione tra stile nutrizionale di tipo mediterraneo e l’impatto sulla longevità e sulla salute dell’uomo.

A cura di Renzo Pellati per Vita e Salute

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