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A Lili Reinhart è stata diagnosticata l’endometriosi, dopo un lungo periodo in cui il suo dolore è stato sottovalutato dai medici. A rivelarlo è stata lei stessa con un post pubblicato giovedì sera su Instagram. Mostrandosi in alcune foto dal letto d’ospedale, l’attrice di Riverdale ha raccontato il percorso, tutt’altro che semplice, che l’ha portata alla diagnosi, ricevuta la settimana scorsa dopo un intervento chirurgico in laparoscopia. I primi dolori sono comparsi circa un anno fa. Lili Reinhart si è subito rivolta a diversi professionisti per comprenderne l’origine: «Tre visite in ospedale. Molteplici urologi e ginecologi. E nessuno di loro ha seriamente preso in considerazione l’endometriosi come causa alla base del mio dolore». La svolta è arrivata solo quando ha iniziato a lavorare con due diverse fisioterapiste del pavimento pelvico, che le hanno menzionato per la prima volta l'endometriosi come possibile fonte del dolore. Da lì, l’attrice ha insistito per fare una risonanza magnetica e successivamente, in accordo con un ginecologo esperto in endometriosi, si è sottoposta alla chirurgia laparoscopica. Arrivare a una diagnosi ufficiale è molto difficile, come ci dimostra anche l’esperienza di Reinhart. L’endometriosi è infatti una malattia infiammatoria, cronica e invisibile, in cui tessuto simil-endometriale cresce al di fuori dell’utero, provocando sintomi come mestruazioni molto dolorose, dolore ai rapporti, stanchezza cronica e gonfiore addominale. In Italia si stima che interessi circa 3 milioni di donne, ma l’incidenza reale potrebbe essere più alta poiché rimane ancora oggi una condizione sotto-diagnosticata. Ed è per questo motivo che Lili Reinhart ha scelto di condividere la sua esperienza. E, con l’occasione, ha lanciato un invito ai suoi follower: «Sono contenta di aver ascoltato il mio corpo e seguito il mio istinto. E continuerò a sostenere che anche gli altri facciano lo stesso». Foto: @lilireinhart. #Endometriosi #Salute #SaluteFemminile
Anche tu hai l’ansia da matematica? 🧮 Secondo L’OCSE, questa fobia interesserebbe un italiano su due. 🔗 Per saperne di più, leggi il nostro ultimo articolo: trovi il link in BIO. #Matematica #Ansia #BenessereMentale
Quante volte hai sentito dire che dopo “una certa età” alcune cose non si possono fare? Che “ormai è tardi”? Joan MacDonald, canadese, a 79 anni è diventata un punto di riferimento su Instagram proprio perché ha fatto il contrario: ha iniziato ad allenarsi quando ne aveva 70, tra pressione alta, reflusso e artrite. Davanti all’idea di aumentare i farmaci, ha scelto di prendersi cura di sé anche attraverso il movimento, con il supporto della figlia personal trainer e una routine più equilibrata. Oggi racconta il suo percorso per ricordare una cosa semplice: non devi tornare indietro nel tempo per stare meglio, puoi iniziare a migliorarlo da dove sei. 👉 Segui P. by pazienti.it per altri contenuti di benessere, senza sensi di colpa 🤍 #Benessere #Allenamento #InvecchiamentoAttivo #Salute #CrescitaPersonale
Si chiama "vacation shaming" ed è un’espressione utilizzata per indicare quella sensazione di vergogna o di colpa che molte persone provano quando devono chiedere le ferie al proprio capo. Secondo un sondaggio di The Adecco Group, il 58% degli italiani l’ha sperimentata almeno una volta nella propria carriera, e a esserne maggiormente colpiti sarebbero soprattutto i giovani della Gen Z e i Millennial. Il risultato? Si continua a lavorare anche quando il corpo e la mente chiedono una pausa. Non sorprende, quindi, che un altro report di Adecco evidenzi come un terzo dei lavoratori accusi livelli di stress estremi e come il 22% si trovi in condizioni di burnout, con conseguenze che vanno dalla perdita di motivazione fino a problemi fisici più seri. Di fatto, ci troviamo di fronte a un quadro preoccupante e che dovrebbe far riflettere: sebbene le ferie siano un diritto, sembrano comunque essere un privilegio da dover giustificare. Secondo te, quali potrebbero essere le cause di questo disagio nel chiedere le ferie? Parliamone nei commenti ⤵️ #Vacanze #Lavoro #BenessereMentale
Da quando hai compiuto 18 anni ti sembra che il tempo voli? Non è solo una sensazione: c’è un motivo ben preciso per cui da bambini un’estate sembra infinita, mentre a trent’anni scorre in un lampo.⁠ ⁠ Uno studio pubblicato su “Communications Biology” ha dimostrato che, con l’invecchiamento, il cervello elabora un numero minore di eventi per unità di tempo. Questo fa sì che percepiamo le giornate come più brevi.⁠ ⁠ Gli esperti spiegano che ciò è dovuto al fatto che, con l’avanzare dell’età, alcune aree del cervello diventano più imprecise nelle loro funzioni.⁠ ⁠ Ad esempio, nei giovani vi sono gruppi di neuroni altamente specializzati nel riconoscere i volti. Nei più anziani, quegli stessi neuroni possono attivarsi anche davanti a oggetti che non lo sono affatto.⁠ ⁠ Questa riduzione di precisione, ipotizzano gli autori, potrebbe rendere più difficile per il cervello distinguere chiaramente la fine di un evento e l’inizio del successivo, con il risultato che il tempo sembra scorrere più velocemente.⁠ ⁠ Ma allora, come possiamo “rallentarlo”? Aumentando le novità nella nostra vita, ad esempio imparando nuovi hobby o conoscendo nuove persone, oppure prestando maggiore attenzione alle esperienze che ci accadono ogni giorno.⁠ ⁠ 🔗 Per approfondire maggiormente l’argomento, leggi il nostro ultimo articolo: trovi il link in BIO.⁠ ⁠ ⁠ #Neuroscienze #Scienza #Cervello