Cos'è la Late? Cosa sapere sulla demenza confusa con l'Alzheimer

Arianna Bordi | Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello
A cura di Arianna Bordi
Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello

Data articolo – 10 Dicembre, 2025

Coppia di pensionati che si tengono per mano e si guardano a casa

La comprensione del declino cognitivo sta attraversando una fase di profonda revisione grazie all'identificazione di una nuova forma di demenza che, pur mimando clinicamente l'Alzheimer, ha una base biologica distinta.

Parliamo della LATE (Limbic-predominant Age-related TDP-43 Encephalopathy), una condizione che si manifesta tipicamente dopo gli 80 anni, ma che può colpire anche a partire dai 65 anni nel 10% dei casi.

Si tratta di una patologia che sta ridefinendo il panorama diagnostico, migliorando la nostra capacità di categorizzare correttamente i pazienti, ma al contempo evidenziando l'urgente necessità di espandere l'arsenale terapeutico.

La firma biologica della proteina TDP-43

A differenza dell'Alzheimer, caratterizzato dall'accumulo di placche di beta-amiloide seguite dai grovigli neurofibrillari della proteina Tau, la LATE è causata dalla formazione di depositi anomali della proteina TDP-43.

Normalmente la TDP-43 è cruciale per la regolazione dell'espressione genica nei neuroni, ma quando si aggrega in modo errato, può scatenare diverse patologie cerebrali, tra cui la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e la Demenza Frontotemporale (DFT).

La scoperta della LATE è avvenuta grazie a studi autoptici: l'esame del tessuto cerebrale donato ha rivelato la presenza di depositi di TDP-43 anche in individui che non avevano diagnosi di SLA o FTD, collegando direttamente l'accumulo di questa proteina al deterioramento cognitivo e al fallimento neuronale.

Un quadro clinico ingannatore

La sfida principale della LATE risiede nel suo quadro sintomatico, che è quasi indistinguibile dall'Alzheimer.

I pazienti manifestano prevalentemente:

  • problemi di memoria;
  • difficoltà nel linguaggio (come anomia o problemi a trovare le parole);
  • difficoltà nel ragionamento e nel prendere decisioni.

Per questa ragione i pazienti affetti da LATE sono stati spesso inquadrati erroneamente come affetti da Alzheimer, ma l'encefalopatia TDP-43 correlata all'età a prevalenza limbica può manifestarsi in modo isolato o coesistere con altre forme di demenza, incluso l'Alzheimer stesso; di conseguenza, quando queste patologie si associano il declino cognitivo tende ad essere notevolmente più rapido.

LATE nel mondo reale e l'impatto clinico

Si tratta di una forma di demenza che è oggetto di studio da diversi anni, ma la sua formalizzazione clinica è più recente.

In uno studio su Alzheimer's & Dementia un panel di esperti internazionali ha tentato di definire con precisione il profilo della LATE: un esordio tardivo (spesso oltre gli 80 anni) con un netto coinvolgimento delle strutture limbiche del cervello (l'ippocampo, l'amigdala e il giro del cingolo, cruciali per emozioni e memoria).


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Quando queste caratteristiche si uniscono alla patologia classica dell'Alzheimer (placche di amiloide, grovigli di tau, atrofia dell'ippocampo), il decorso della demenza diventa rapido, portando a una veloce perdita dell'autonomia nella vita quotidiana.

Un dilemma diagnostico e terapeutico irrisolto

La distinzione definitiva tra Alzheimer e LATE rimane, per ora, confinata all'esame autoptico: è l'unico modo per accertare se il deterioramento cognitivo sia causato dall'amiloide/tau (Alzheimer) o dalla TDP-43 (LATE), dato che la loro sintomatologia è sovrapponibile.

Si tratta di una distinzione che è di cruciale importanza pratica: intervenire con una terapia mirata all'Alzheimer (amiloide/tau) su un paziente che è in realtà affetto da LATE (TDP-43) non produce i miglioramenti sperati.

Un fallimento terapeutico in un caso ritenuto Alzheimer può, quindi, essere il campanello d'allarme di una diagnosi errata che nasconde una LATE.

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Paolo Maria Rossini, responsabile del modulo Neuromotoria C e direttore del Dipartimento di Neuroscienze e neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele di Roma, pur lodando i progressi sui fattori di rischio, teme che la frammentazione della diagnosi in "mille forme diverse" basate sul fattore di rischio prevalente stia rendendo lo scenario più confuso sia per i pazienti che per i medici.

Sostiene, infatti, che la demenza neurodegenerativa è essenzialmente una malattia multifattoriale, dove l'esito finale è determinato dal costante "scontro" tra fattori di rischio e fattori di resilienza del cervello.

Fonti:

Alzheimer's & Dementia - Distinct inflammatory profiles in young-onset versus late-onset Alzheimer's disease

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