Demenza frontotemporale, un nuovo studio rivela il ritardo e la difficoltà nella diagnosi

Arianna Bordi | Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello
A cura di Arianna Bordi
Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello

Data articolo – 23 Settembre, 2025

Primo piano di una lastra al cervello con un gruppo di persone, tra cui una paziente allettata, sullo sfondo

Un nuovo e importante studio internazionale, condotto dal Centro per le Malattie Neurodegenerative e l’Invecchiamento Cerebrale dell’Università di Bari “Aldo Moro” in collaborazione con la Pia Fondazione Cardinale Panico di Tricase, ha fatto luce sulla demenza frontotemporale (DFT).

Scopriamo di più in questo approfondimento.

Cos’è la demenza frontotemporale

La demenza frontotemporale è parte di un gruppo di disturbi neurodegenerativi progressivi che colpiscono principalmente i lobi frontali e temporali del cervello; a differenza dell'Alzheimer, che colpisce inizialmente la memoria, la DFT si manifesta principalmente con cambiamenti nel comportamento, nella personalità e nel linguaggio.

La causa esatta della DFT non è del tutto chiara, ma è spesso associata all'accumulo anomalo di proteine, come la proteina tau e la TDP-43, all'interno dei neuroni, che porta alla morte delle cellule nervose e all'atrofia (restringimento) delle aree cerebrali colpite. La DFT è una malattia geneticamente eterogenea e in circa un terzo dei casi ha una base genetica, spesso dovuta a mutazioni in geni. 

La diagnosi si basa su una combinazione di esami clinici, test neuropsicologici, risonanza magnetica (che può mostrare l'atrofia cerebrale) e, in alcuni casi, test genetici, ma la DFT è spesso difficile da distinguere da altre forme di demenza, in particolare nella fase iniziale.

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Attualmente non esiste una cura: il trattamento è sintomatico e mira a gestire i sintomi comportamentali e linguistici attraverso la terapia occupazionale, la logopedia e, talvolta, farmaci che possono aiutare a controllare l'aggressività o l'apatia.

Il nuovo studio

La ricerca, una revisione sistematica e meta-analisi che ha esaminato i dati di 32 studi globali, è stata pubblicata su JAMA Neurology, una delle più autorevoli riviste scientifiche del settore.

I risultati offrono le stime più precise e aggiornate sulla diffusione della DFT, rivelando un’incidenza di 2,3 casi ogni 100.000 persone/anno e una prevalenza di 9,2 casi ogni 100.000 abitanti.

Infatti, nonostante sia meno comune rispetto alla demenza di Alzheimer o al morbo di Parkinson, ha una frequenza paragonabile a quella della demenza a corpi di Lewy.

La sua diffusione è inoltre superiore a quella di malattie neurodegenerative rare come la paralisi sopranucleare progressiva, la sindrome corticobasale e la sclerosi laterale amiotrofica; un dato che ne sottolinea la rilevanza, specialmente nel contesto della demenza giovanile.

Sfide per il futuro

Lo studio evidenzia anche le difficoltà diagnostiche legate alla DFT, in particolare per la variante comportamentale, che spesso viene scambiata per disturbi psichiatrici.

Si tratta di errori che portano a ritardi nella diagnosi di 5-6 anni, un periodo che può aggravare ulteriormente la situazione per i pazienti e le loro famiglie.


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Secondo il professor Giancarlo Logroscino, direttore del Centro per le Malattie Neurodegenerative e l’Invecchiamento Cerebrale dell’Ospedale Panico di Tricase-UniBa, che ha coordinato il lavoro insieme ai dottori Daniele Urso, Stefano Giannoni-Luza e ai professori Carol Brayne (Università di Cambridge) e Nicolas Ray (Università di Ginevra), le nuove stime sono un punto di riferimento fondamentale per la pianificazione sanitaria e la ricerca clinica. Logroscino sottolinea poi che, sebbene la DFT sia rara, ha un impatto significativo e richiede percorsi diagnostici e assistenziali dedicati.

Fonti:

JAMA Neurology - Incidence and Prevalence of Frontotemporal Dementia. A Systematic Review and Meta-Analysis

Ultimo aggiornamento – 22 Settembre, 2025

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