Emicrania: impatto sociale ed economico su 6 milioni di italiani

Arianna Bordi | Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello
A cura di Arianna Bordi
Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello

Data articolo – 23 Ottobre, 2025

Giovane donna stressata, stanca, stordita, impiegata d'ufficio, donna d'affari asiatica, che si tocca la testa, si sente triste, stanca, ha mal di testa, emicrania o stress, è esausta dopo aver lavorato al computer, ha il burnout

I numeri della neurologia non sono più un allarme, ma una vera e propria emergenza in piena espansione.

L'Italia è in affanno: i disturbi del sonno affliggono 12 milioni di individui, privandoli del riposo essenziale, e più di 2 milioni convivono con il dramma del decadimento cognitivo o della demenza.

A scala globale la situazione è ancora più critica: negli ultimi trent'anni i disturbi neurologici hanno scalato le classifiche fino a diventare la principale causa di disabilità e la seconda causa di morte, mietendo circa nove milioni di vite ogni anno.

Approfondiamo l’argomento.

I dati sull’emicrania

L’emicrania è una malattia neurologica che in Italia tiene in scacco circa 6 milioni di individui, con una predilezione per le donne in età fertile (15-49 anni).

A sottolineare la gravità di questo impatto è il dottor Giambattista Allais, del Centro Cefalee della Donna presso l’Università degli Studi di Torino: “[…] Secondo l’OMS l’emicrania rappresenta ormai la seconda patologia più disabilitante in assoluto, ma se si considerano le sole donne emicraniche tra i 18 e i 50 anni di età sale al primo posto assoluto come disabilità.”

Eppure, il riconoscimento è un calvario: dalla comparsa dei primi sintomi si naviga nel buio per una media di oltre 5 anni per una diagnosi, attesa che può estendersi fino a 7-8 anni.

La minaccia più grande è la cronicizzazione: ogni anno, il 2,5-3% dei pazienti episodici scivola nella forma cronica; per loro significa almeno 15 giorni al mese di resa forzata, barricati nel silenzio e nel buio, cercando invano di sedare quel tormento pulsante esacerbato da luci, suoni e persino odori.


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Infatti, il dolore, feroce e di lunga durata (da 4 fino a 72 ore), è spesso unito a un corredo di sintomi debilitanti come fonofotofobia, nausea e vomito.

Il carico psicologico, poi, è il lato oscuro e sottovalutato della malattia: ansia, un opprimente senso di colpa e impotenza, le continue rinunce e l'isolamento sociale rendono il quadro clinico ancora più invalidante.

La vergogna spinge i pazienti al silenzio, un fenomeno particolarmente accentuato tra gli uomini, per i quali la malattia è percepita come un vero e proprio stigma sociale.

Alessandra Sorrentino, presidente Associazione Alleanza Cefalalgici (Al.Ce), spiega: “È difficile da raccontare perché è un dolore invisibile che non dà sintomi esterni, ma che ci sono e sono molto pesanti. Vivere con l’emicrania significa affrontare non solo un dolore intenso e invalidante, ma anche la paura costante del dolore e degli attacchi. […] Alle difficoltà personali si aggiungono quelle del percorso di cura: ritardi diagnostici, scarsa consapevolezza tra alcuni operatori sanitari e disparità di accesso ai centri specializzati e alle terapie innovative. È necessario rendere visibile l’emicrania per riconoscerne l'impatto, restituire dignità, ascolto e cure tempestive, affinché nessuno debba più sentirsi solo di fronte a questa malattia.”

Emicrania e produttività al lavoro: non sentirsi capiti

Il mondo del lavoro sta pagando un conto salatissimo all'emicrania: il 93% del suo costo totale (stimato in 20 miliardi di euro annui) è imputabile alla perdita di produttività.

Allais prosegue analizzando l'insostenibile peso economico e sociale: “L’emicrania rappresenta un peso economico e sociale enorme: in Italia il costo diretto medio per paziente è di 334 € ogni 3 mesi, cui va aggiunto il costo per l’assistenza indiretta di circa 373 € per paziente. Va poi considerato il costo per la perdita di produttività, circa 380 € per paziente.”

La disfunzione lavorativa è palpabile: dati europei rivelano che il 28% delle donne emicraniche ha perso oltre 10 giorni di attività lavorativa o scolastica nell'arco di tre mesi.

I dati demografici sono un campanello d'allarme: tra il 1990 e il 2021, la prevalenza è schizzata in alto (+58%) e i nuovi casi sono aumentati del 42%; sorprendentemente il fenomeno sta ora coinvolgendo sempre più uomini e individui sotto i 20 anni.

Un pregiudizio che è un veleno per la carriera: quasi otto lavoratori su dieci ammettono che l'emicrania ha danneggiato il loro percorso professionale.

La paura del giudizio spinge molti al silenzio, un silenzio che si traduce in "presenteismo": la presenza fisica in ufficio a dispetto di una condizione fisica o mentale inadeguata.

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Per spezzare questo circolo vizioso è necessaria una nuova etica del lavoro: i dipendenti devono poter condividere la propria condizione senza timore, mentre le aziende devono impegnarsi ad abbattere gli stereotipi e mettere al centro la valorizzazione del talento e del benessere delle persone, non la mera apparenza.

Di fronte a questa inarrestabile "marea", la neurologia non può permettersi l'immobilismo: è imperativo un cambio di passo per abbracciare una visione olistica e integrata della salute del cervello.

Fonti:

  • OMS - Migraine and other headache disorders;
  • The Lancet Neurology - Global, regional, and national burden of disorders affecting the nervous system, 1990–2021: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2021
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