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Hai avuto il Coronavirus (senza saperlo)? Il 100% dei guariti sviluppa anticorpi

Redazione

Ultimo aggiornamento – 04 Maggio, 2020

Il 100 per cento dei guariti da Covid sviluppa anticorpi

È il professor Roberto Burioni a darne per primo la notizia: chi guarisce da Covid-19 sviluppa anticorpi

Si legge, su Twitter, «seppure in quantità variabili pazienti guariti da Covid-19 producono anticorpi contro il virus. Questo è bene perché rende affidabile la diagnosi sierologica e, se gli anticorpi fossero proteggenti, promette bene per l’immunità».

Si tratta di una notizia oltremodo positiva nell'ottica dell’immunogenicità, dunque nel contrasto alla pandemia in corso. Usando un linguaggio comune, potremmo dire che il nostro corpo sarebbe in grado di sviluppare una memoria immunitaria contro il patogeno: dunque, una volta contratta l’infezione da Covid-19, dovremmo essere protetti nel caso in cui entrassimo nuovamente in contatto con una carica virale. 

Non solo. I famosi test siereologici, di cui si parla da mesi, potrebbero dare una risposta definitiva all’annosa domanda: ho contratto il virus oppure no? Fondamentale, se consideriamo il numero degli asintomatici. 

Lo studio pubblicato su Nature: chi guarisce da Covid-19 sviluppa anticorpi

La conferma che tutti i pazienti guariti producono anticorpi la dobbiamo a un team di ricerca cinese guidato da scienziati del Laboratorio di biologia molecolare sulle malattie infettive (Chongqing Medical University di Chongqing) che hanno collaborato con i colleghi dell'Ospedale del popolo di Wanzhou, della società di biotecnologie BioScience Co. Ltd e di altri istituti del Paese asiatico che per primo ha vissuto in prima persona gli effetti del virus.

I ricercatori, con a capo i professori Juan Chen, Ai-Long Huang e Jie-Li Hu, sono giunti alla loro conclusione dopo aver effettuato le analisi sul sangue (test immunoenzimatico a chemiluminescenza magnetica) di 285 pazienti risultati positivi al Coronavirus. 

Tutti, a 19 giorni dall'esordio dei sintomi, sono risultati positivi all'immunoglobulina G (IgG), quella che definiamo a “lungo termine”, dunque connessa alla memoria immunitaria dell’organismo. I pazienti più gravi mostravano livelli superiori di anticorpi rispetto a quelli del gruppo con sintomatologia più moderata.

Ma facciamo un passo indietro, per capire la portata di questo studio che Guido Silvestri, alla guida di uno dei laboratori di ricerca più all’avanguardia in fatto di Microbiologia e immunologia, ha definito come «megapillola di ottimismo». Insomma, la notizia più bella da quando è scoppiata la pandemia. 

Come funzionano gli anticorpi

Il nostro sistema immunitario, quando entra in contatto con un patogeno - sia esso un virus o un batterio, inizia ad attivarsi contro il nemico: durante questa battaglia, sono prodotte diverse classi di anticorpi (IgA, IgE, IgM, IgG e così via), ovvero delle proteine caratterizzate da una forma a Y in grado di relazionarsi con l'antigene, ovvero il “nemico”. 

Quando parliamo di Coronavirus, però, l’attenzione è focalizzata su le IgM e le IgG, tanto che i test sierologici vengono sviluppati per rintracciare queste due classi di anticorpi.

Quelle che più interessano nella lotta al Coronavirus sono le IgM e le IgG; entrambe, infatti, vengono ricercate dai cosiddetti test sierologici. E il fatto che tutti i pazienti producano anticorpi contro il virus, rende questi test decisamente più affidabili.

È necessaria un’altra precisazione: le IgG vengono prodotte per ultime, dopo le IgM. Quando vengono schierate dal nostro sistema immunitario prevengono una nuova infezione che, in passato, è già stata contratta. È questo il meccanismo su cui si basano i vaccini: quando immettiamo nel nostro corpo particelle virali (virus attenuati o altro), il sistema immunitario riconoscere l’invasore, producendo anticorpi in grado di evitare il contagio. 

Purtroppo, però, al momento non sappiamo se gli anticorpi rilevati dagli scienziati cinesi possano davvero proteggerci ma, come sottolineato da Burioni, la loro scoperta «promette bene per l'immunità».

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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