Sentirsi soli è un’esperienza comune, ma per una parte crescente della popolazione la solitudine sembra trasformarsi in un problema di salute pubblica.
Negli ultimi anni, complice l’aumento delle attività digitali e l’impatto della pandemia di Covid-19 sulle interazioni quotidiane, il tema dell’isolamento sociale è stato al centro di numerosi studi.
Le ricerche descrivono un fenomeno complesso, difficile da misurare ma non privo di conseguenze: la solitudine persistente, infatti, viene associata a un incremento del rischio di malattie croniche, disagio psicologico e mortalità precoce.
Una “epidemia di solitudine”? Cosa dicono davvero i dati
L’espressione, sempre più utilizzata dai media, non trova però un pieno riscontro scientifico. Analizzando i dati disponibili negli ultimi decenni, non emergono variazioni significative nella prevalenza della solitudine nelle società industrializzate.
Gli esperti sottolineano inoltre la necessità di distinguere due concetti spesso confusi:
- la solitudine, cioè una percezione soggettiva, emotiva, talvolta temporanea;
- l’isolamento sociale, una condizione oggettiva caratterizzata da scarsi rapporti familiari, assenza di amicizie affidabili e difficoltà a chiedere aiuto.
È quest’ultima condizione a rappresentare un vero fattore di rischio, soprattutto quando vissuta come inevitabile e accompagnata da malesseri emotivi o fisici.
Diagnosticare l’isolamento sociale non è semplice, perché non esiste un test univoco. Tuttavia, alcuni segnali ricorrenti aiutano a identificarlo.
Le persone maggiormente esposte presentano una ridotta rete di supporto, scambi sociali minimi e una certa difficoltà a instaurare relazioni significative.
Esistono inoltre categorie considerate più vulnerabili: genitori single, caregiver, persone con disabilità, malattie croniche, pensionati, individui con difficoltà economiche o esposti a discriminazioni.
Un capitolo a parte riguarda l’ansia sociale, un disturbo riconosciuto che porta chi ne soffre a evitare le interazioni per paura di provare sintomi fisici come tachicardia, sudorazione o tensione addominale.
La riduzione progressiva dei contatti alimenta ulteriormente l’isolamento, in un circolo difficile da interrompere senza supporto.
Gli effetti sulla salute: cosa mostrano gli studi
La letteratura scientifica segnala un legame sempre più chiaro tra solitudine cronica, isolamento sociale e rischio di morte.
Una recente revisione sistematica con meta-analisi, pubblicata su PLOS ONE nel 2023 e basata su dati di circa 1,3 milioni di adulti, ha evidenziato che le persone socialmente isolate presentano un aumento del rischio di mortalità per tutte le cause del 33% (hazard ratio 1,33; intervallo di confidenza 95%: 1,26–1,41) rispetto a chi dispone di una rete sociale più ampia e stabile.
Questo dato conferma che l’isolamento sociale non è soltanto una condizione psicologica spiacevole, ma un vero e proprio fattore di rischio per la salute.
Uno dei meccanismi più studiati riguarda l’attivazione prolungata dello stress, con aumento dei livelli di cortisolo, il cosiddetto “ormone dello stress”, e un conseguente stato di infiammazione sistemica. Nel tempo, questa condizione può favorire lo sviluppo di diabete di tipo 2, ipertensione e malattie autoimmuni.
L’isolamento è spesso associato anche a comportamenti meno salutari: maggiore sedentarietà, dieta squilibrata, consumo più elevato di alcol e tabacco. La mancanza di una rete di supporto può ridurre motivazione e senso di auto-cura, rendendo più difficile mantenere abitudini benefiche o aderire ai trattamenti medici.
L’assenza di contatti regolari limita inoltre l’accesso a influenze positive e sostegno emotivo. Questo impatto risulta particolarmente evidente nelle persone anziane e in chi soffre già di depressione o altri disturbi dell’umore, nei quali l’isolamento può aggravare ansia, disturbi del sonno e sensazione di sfiducia.
Sono in corso studi che stanno esplorando più a fondo anche la possibile relazione tra isolamento sociale prolungato e malattie neurodegenerative, tra cui il morbo di Alzheimer. I risultati finora disponibili suggeriscono un potenziale legame, ma saranno necessarie ulteriori ricerche per chiarire quanto e in che modo la solitudine contribuisca al rischio di sviluppare queste patologie.
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Come affrontare la solitudine: strategie e percorsi disponibili
La prima indicazione condivisa dagli esperti è chiedere aiuto quando la solitudine compromette il benessere fisico o mentale.
Parlare con il medico di medicina generale permette di valutare il quadro complessivo e, se necessario, intraprendere un percorso di psicoterapia. Molti interventi sono basati su gruppi di mutuo aiuto, che favoriscono l’incontro e la condivisione.
Accanto al supporto professionale, esistono azioni concrete utili nella quotidianità: praticare attività sportive, partecipare a gruppi di volontariato, coltivare hobby condivisi o semplicemente ristabilire un contatto con un amico tramite una telefonata o un messaggio. Anche seguire uno stile di vita attivo, curare l’alimentazione e la qualità del sonno contribuisce a ridurre i fattori di rischio.
La solitudine non è necessariamente un problema, ma l’isolamento sociale prolungato può incidere in modo significativo sulla salute. Intercettare i segnali precoci, chiedere supporto professionale e coltivare relazioni reali rappresentano passi fondamentali per prevenire conseguenze fisiche e psicologiche.
Fonti
- Plos One - Social isolation as a risk factor for all-cause mortality: Systematic review and meta-analysis of cohort studies