"Canta che ti passa", diceva qualcuno. E secondo la ricerca scientifica non è solo un detto

Arianna Bordi | Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello
A cura di Arianna Bordi
Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello

Data articolo – 08 Luglio, 2025

Ragazza che canta su un palco a occhi chiusi col microfono

La musica, quel linguaggio universale che trascende ogni confine, è da sempre riconosciuta per la sua straordinaria capacità di lenire l'anima, stimolare la mente e unire i cuori.

Eppure, nonostante le sue melodie possano facilmente insinuarsi nei nostri pensieri o farci battere i piedi a ritmo, troppo spesso esitiamo a diventare noi stessi i creatori di quelle vibrazioni.

Ma perché tanta timidezza? Come acutamente osserva Daniel Levitin, professore emerito di neuroscienze alla McGill University e decano della Facoltà di Lettere e Filosofia alla Minerva University: "Nessuno smette di fare jogging perché non è un campione olimpico". Il punto, semplicemente, non è l'eccellenza, ma il fare.

Scopriamo di più sui benefici di questa attività.

Perché cantare ha solo effetti positivi

La vera magia della musica risiede nella sua natura profondamente trasformativa: Daniel Bowling, professore di psichiatria e scienze comportamentali alla Stanford School of Medicine, la descrive come una forza capace di "commuoverci emotivamente, fisicamente, e di connetterci ad altre persone", pilastri fondamentali per una sana salute mentale.

Numerosi studi confermano che il semplice ascolto della musica che amiamo è direttamente correlato a un benessere soggettivo potenziato, a una notevole riduzione dello stress e a una gestione più efficace delle emozioni negative, amplificando quelle positive.

È un antidoto potente contro la depressione e l'ansia, infatti non stupisce che la musica, con la sua innata capacità di piacere, scateni un rilascio di dopamina, attivando il sistema di ricompensa del cervello e regalandoci una sensazione di pura gioia.

Ma l'esperienza si arricchisce esponenzialmente quando passiamo da ascoltatori passivi a creatori attivi: sia con la nostra voce che con uno strumento, "si acquisisce un certo potere decisionale, ci si assume la responsabilità di ciò che accade e si riesce a controllarlo", spiega Bowling. Dunque, questa interazione attiva ci rende protagonisti, non semplici spettatori.

Se fare musica da soli è già un toccasana per la mente e il corpo, crearla in compagnia amplifica esponenzialmente i suoi benefici.

Che sia in un coro, in una scatenata jam session o durante una serata karaoke, l'atto di produrre musica con altri genera una sinergia unica che va ben oltre la semplice melodia.


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Quando ci immergiamo nel ritmo collettivo, i nostri stessi comportamenti iniziano a sincronizzarsi; è un fenomeno quasi magico: persino un gesto semplice come battere il tempo insieme a qualcun altro ci fa sentire più vicini a quella persona rispetto a quando i nostri ritmi sono scoordinati.

La ricerca lo dimostra: il battito condiviso crea un legame, un'eco di connessione che risuona dentro di noi.

I benefici sulla salute del cervello

Ma la sincronizzazione non si ferma ai gesti, perché la musica ha il potere di allineare i nostri cervelli, e questo effetto è ancora più pronunciato quando creiamo musica insieme rispetto al semplice ascolto.

Studi di imaging cerebrale hanno rivelato che l'attività neurale nei cervelli delle persone impegnate nella stessa attività musicale diventa straordinariamente simile. È come se le nostre menti iniziassero a danzare all'unisono, creando un'armonia non solo sonora, ma anche neuronale.

Cantare in gruppo, in particolare, è un vero e proprio elisir: non solo può ridurre il cortisolo, l'ormone dello stress, ma innesca anche il rilascio di ossitocina, un neuropeptide e ormone cruciale per i legami sociali.

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Come spiega il professor Bowling, “il rilascio di ossitocina può ulteriormente amplificare il sistema di ricompensa del cervello, trasformando un'esperienza sociale positiva in qualcosa di incredibilmente gratificante e rinforzante”.

La musica è anche una potente alleata per la salute del cervello nell'invecchiamento, fortificando la nostra riserva cognitiva, ovvero la capacità del cervello di resistere agli effetti dell'età.

Levitin sottolinea che la musica "facilita la neuroplasticità e la creazione di nuove connessioni neurali, anche se non si è particolarmente abili". Non si tratta di virtuosismi, ma di stimolazione.

Un esempio lampante? Uno studio su 132 anziani ha mostrato che appena sei mesi di pratica al pianoforte o di ascolto musicale attivo (con lezioni e un approccio strutturato) hanno portato a un significativo aumento della materia grigia nel cervello e a miglioramenti nella memoria di lavoro uditiva. E, in prospettiva, una ricerca del 2025 su 153 anziani suggerisce che un anno di pratica pianistica è associato a una maggiore flessibilità cognitiva.

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