Consentire ai bambini di sperimentare fallimenti commisurati alla loro età non significa abbandonarli, bensì offrire loro l'opportunità cruciale di imparare a navigare le inevitabili sconfitte della vita e, soprattutto, di sviluppare la capacità di rialzarsi con rinnovata forza.
Ma perché a volte sembra così difficile vedere i bambini sbagliare?
Vediamo un approfondimento in merito.
Proteggere sì, ma senza porre dei limiti
Jessica Lahey, autrice di The Gift of Failure, attraverso le sue visite nelle scuole di tutti gli Stati Uniti, ha offerto ai ragazzi un canale di comunicazione diretto, lasciando il proprio indirizzo email.
Il flusso di messaggi che ha ricevuto dipinge un quadro preoccupante: un numero significativo di giovani esprime un profondo senso di inadeguatezza e, ancor più doloroso, molti percepiscono l'affetto genitoriale come strettamente vincolato al loro successo scolastico.
Sebbene, infatti, assistere ai fallimenti dei figli possa generare in noi un senso di disagio, fare un passo indietro e resistere all'impulso di intervenire rappresenta uno degli atti d'amore più significativi che si possano compiere.
Se da un punto di vista logico i genitori riconoscono il fallimento come un'insostituibile palestra di apprendimento, sorge spontanea una domanda: perché, allora, fatichiamo così tanto a lasciare che i figli sperimentino il naturale corso, talvolta doloroso?
Lahey illumina questa apparente contraddizione, sottolineando come essa "nasca da un sentimento di amore profondo, da una naturale empatia e da un istinto biologico primario che ci spinge a proteggere la nostra prole da qualsiasi sofferenza".
Su questa linea si inserisce Kendra Read, PhD e vicepresidente del reparto di terapia presso Brightline, che aggiunge una prospettiva cruciale: "Il fallimento, in tutte le sue sfumature, dalle piccole inciampate alle delusioni più significative, è una componente ineludibile dell'esistenza umana. Molti dei fraintendimenti che osservo riguardo al fallimento derivano da una concettualizzazione eccessivamente rigida e assoluta".
L'errore fondamentale risiede nella convinzione genitoriale che i figli debbano essere preservati da qualsiasi insuccesso o nella tendenza a drammatizzare le conseguenze di piccole mancanze; un simile approccio, lungi dal preparare i figli a un futuro di successi, rischia di minarne le fondamenta.
Come osserva Lahey, "applichiamo gli strumenti e le conoscenze che ci hanno reso efficaci sul lavoro al ruolo genitoriale, ma in questo ambito non riceviamo lo stesso tipo di feedback strutturato. Di conseguenza, tendiamo a personalizzare eccessivamente i fallimenti e i successi dei nostri figli".
Questa costante protezione eccessiva, tuttavia, sortisce un effetto controproducente: insegna involontariamente ai bambini quella che gli psicologi definiscono impotenza appresa.
"In sostanza, con il nostro agire, comunichiamo loro un messaggio implicito: 'Non credo che tu sia sufficientemente competente per affrontare questa situazione da solo'", avverte Lahey.
E con il passare del tempo i bambini interiorizzano questa percezione di inadeguatezza, minando profondamente la loro autostima e la loro capacità intrinseca di affrontare le sfide che inevitabilmente incontreranno nel loro percorso di crescita.
Come sottolinea Read, la vera distinzione tra un individuo dotato di una solida autostima e uno con una fiducia in sé più fragile non risiede nell'assenza di fallimenti nel proprio percorso; risiede, invece, nella capacità di riconoscere il fallimento come una componente intrinseca e del tutto normale dell'esperienza umana, e di comprendere che il proprio valore personale non è in alcun modo vincolato alla perfezione.
"Se a un individuo viene negata l'opportunità di confrontarsi con il fallimento," avverte Read, "gli viene contestualmente sottratta la possibilità di mettere in pratica e affinare quelle abilità cruciali che gli permetteranno di superare le sfide future".
In questo contesto diviene fondamentale offrire ai bambini quelle che Jessica Lahey definisce con perspicacia "difficoltà desiderabili": sfide che, pur apparendo impegnative ai loro occhi, rimangono saldamente entro i confini delle loro capacità attuali.
"Dobbiamo imperativamente lasciare che i bambini si misurino con esperienze appropriate al loro stadio di sviluppo," ammonisce Lahey, "anche quando i nostri timori genitoriali ci spingerebbero a fare diversamente".
Alcuni spunti per rendere i propri figli liberi di sbagliare (con coscienza)
Il bisogno impellente di preservare i figli da qualsiasi esperienza spiacevole si traduce spesso in una modificazione dell'ambiente tale da impedire loro di apprendere una lezione fondamentale: che gli eventi avversi potrebbero non essere così catastrofici come inizialmente temuto.
"Quando interveniamo costantemente con l'obiettivo di eliminare ogni potenziale fonte di stress," spiega con chiarezza Read, "insegniamo implicitamente ai nostri figli che nutriamo dei dubbi sulla loro capacità di affrontare le sfide".
SI tratta di un comportamento di evitamento che perpetua un circolo vizioso dannoso, alimentando e incrementando l'ansia dei bambini nel tempo, anziché alleviarla.
Prima di intervenire impulsivamente per soccorrere un figlio in difficoltà, Jessica Lahey suggerisce una domanda cruciale da porsi: "Il mio intervento sta privando mio figlio di una preziosa opportunità di apprendimento?".
"Anche nel caso di figli più timidi," sottolinea Lahey, "prima o poi si troveranno nella necessità di interagire con adulti; aiutarli a sviluppare questa competenza fin da ora è un investimento nel loro futuro". Inoltre, queste piccole esperienze fungono da trampolino di lancio, preparando il terreno per affrontare sfide più complesse che la vita inevitabilmente presenterà.
Read mette inoltre in guardia da una trappola comunicativa molto comune tra i genitori: la tendenza a offrire rassicurazioni generiche e sminuenti, come "Andrà tutto bene" o "Non è niente di grave!".
"Quando ricorriamo a queste frasi fatte," avverte la Dott.ssa Read, "rischiamo inavvertitamente di invalidare le emozioni autentiche che i nostri figli stanno provando". Un approccio più costruttivo consiste nel riconoscere e validare i loro sentimenti, aprendo poi una discussione sulle possibili conseguenze, inclusa l'eventualità, spesso temuta ma raramente catastrofica, dello scenario peggiore.
Invece di intervenire precipitosamente per correggere ogni errore, Lahey offre un consiglio illuminante: "Fermatevi. Fate un respiro profondo. E ponetevi queste domande cruciali: ci sono competenze importanti che mio figlio può apprendere da questa situazione? E se prendo il controllo, lo priverò di questa fondamentale esperienza di vita?".
Infine, è bene normalizzare apertamente l'esperienza dell'insuccesso all'interno delle mura domestiche; quando sono loro a commettere degli sbagli, Lahey suggerisce di riflettere sulla seguente domanda: "Il mio obiettivo è che mio figlio esegua questo compito alla perfezione, in modo assolutamente sicuro, in questo preciso momento, o che acquisisca la capacità di farlo da solo in futuro?".
Le maree delle tendenze genitoriali sono in costante evoluzione: se i figli della Generazione X venivano spesso cresciuti con un maggiore grado di autonomia, la generazione dei Millennial ha visto l'affermarsi del fenomeno dei “genitori-elicottero”, caratterizzati da una supervisione iperprotettiva.
Oggi, fortunatamente, sta emergendo un approccio più maturo ed equilibrato, che mira a promuovere l'indipendenza dei figli fornendo al contempo un sostegno strutturato e presente.
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I bambini che hanno l'opportunità di sperimentare il fallimento, di imparare a rialzarsi dopo una caduta e di perseverare nei loro tentativi, si trasformano in adulti capaci di affrontare le avversità con maggiore determinazione, di sviluppare efficaci strategie di problem-solving e di difendere con assertività le proprie idee e i propri bisogni.
Si tratta di un’innata capacità di agire con efficacia di fronte alle sfide è un'abilità preziosa che nessuno può insegnare loro in modo diretto e che, una volta acquisita attraverso l'esperienza, non potrà mai essere loro sottratta.
Read introduce una considerazione cruciale, sottolineando come la sicurezza dell'ambiente in cui un bambino cresce non sia uniforme per tutti, con particolari vulnerabilità riscontrate tra i giovani neri, transgender e non binari; in questi contesti un approccio graduale all'indipendenza si rivela particolarmente saggio, consentendo sia lo sviluppo di competenze essenziali sia le necessarie valutazioni e precauzioni in termini di sicurezza.
Permettendo ai figli di confrontarsi con il fallimento all'interno di un contesto sicuro, amorevole e di supporto, vengono forniti gli strumenti più potenti per affrontare il complesso viaggio della vita con fiducia incrollabile, con una resilienza che li sosterrà nelle difficoltà e con una profonda fiducia nelle proprie capacità.