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Cancro al seno: anche i tumori più piccoli sono tra i più aggressivi

Chiara Tuccilli | Biologa e Dottore di Ricerca in Scienze Endocrinologiche

Ultimo aggiornamento – 12 Gennaio, 2021

Tumore al seno: anche i più piccoli sono molto aggressivi

Il tumore al seno è il tumore più frequentemente diagnosticato nelle donne di ogni fascia d’età. Sebbene la sua incidenza non accenni a ridursi, fortunatamente la mortalità associata al cancro della mammella è in calo negli ultimi anni.

Un risultato incoraggiante, frutto della crescente attenzione all’argomento da parte delle donne, che si sottopongono a screening o operano l’autopalpazione, e dei miglioramenti delle tecniche diagnostiche e delle strategie terapeutiche. Oggi, è possibile diagnosticare il tumore in fase precoce e intervenire rapidamente, evitando che la neoplasia diventi maggiormente aggressiva.

Tumore al seno: quando la dimensione è inferiore a un centimentro

Quando si pensa a un cancro aggressivo, si associa automaticamente a una massa di medie o grandi dimensioni, trascurando un concetto fondamentale: il comportamento biologico non è necessariamente dettato dalla dimensione. Proprio quest’aspetto è stato messo in evidenza al Congresso ESMO 2017.

Nel corso del Congresso, il dr. Konstantinos Tryfonidis dell’Organizzazione Europea per la Ricerca e il Trattamento del Cancro (EORTC) ha riferito uno studio condotto su 826 pazienti colpite da carcinoma della mammella di dimensione inferiore al centimetro, generalmente ritenuti a basso rischio, con una buona prognosi.

Tuttavia, lo studio condotto dal gruppo del dr. Tryfonidis ha evidenziato che un tumore su quattro è maggiormente aggressivo, e che l’utilizzo della chemioterapia adiuvante è utile per ridurre il rischio di sviluppo di metastasi nell’arco di cinque anni dalla terapia iniziale. Infatti, la sopravvivenza libera da metastasi a distanza (DMFS), che si attesta al 91.4% (95% CI 82.6–95.9) quando non si usa la chemioterapia adiuvante, passa al 97.3% (95% CI 89.4–99.3) utilizzando la chemioterapia.

Nello studio è stato indagato il profilo molecolare dei tumori, analizzando 70 geni, oltre ai parametri clinico-patologici che normalmente sono utilizzati per assegnare lo stadio al tumore. Lo stadio del tumore, che corrisponde alla sua aggressività, è determinato valutando alcune caratteristiche, tra cui proprio la dimensione del tumore e la sua estensione sia ai linfonodi regionali (le metastasi linfonodali) sia a distanza (le metastasi in altri organi).

Lo stadio del tumore, quindi, individua il rischio clinico. Sulla base dei 70 geni indagati, invece, le pazienti sono state assegnate a gruppi di rischio genomico, collocandole o nel gruppo a basso rischio genomico o in quello ad alto rischio genomico.

I risultati ottenuti hanno consentito di sottolineare l’importanza della biologia del tumore per potersi esprimere sulla prognosi. I soli criteri clinici, infatti, non sono sempre esaustivi in questo: tumori di piccole dimensioni, che non hanno prodotto metastasi linfonodali, vengono classificati clinicamente come “a basso rischio” e, pertanto, non si ricorre alla chemioterapia; ma, se nascondono un profilo genomico aggressivo, anche questi piccoli tumori possono (e dovrebbero) essere considerati “ad alto rischio” per le recidive e le metastasi.

L’evoluzione del tumore alla mammella

Il tumore al seno può essere familiare o sporadico. Ovvero, il carcinoma può insorgere a causa di una mutazione predisponente trasmessa nella famiglia (circa il 10% dei casi) o svilupparsi in individui che non mostrano familiarità per il tumore (circa il 90% dei casi), ma nei quali i fattori ambientali e biologici agiscono, favorendo la neoplasia.

Nella metà dei casi familiari, le mutazioni predisponenti allo sviluppo della patologia sono quelle nei geni BRCA1 e BRCA2, presenti fin dalla nascita (ricordate il caso di Angelina Jolie? Era proprio questo il motivo che l’ha indotta a sottoporsi all’intervento preventivo).

Nelle forme sporadiche, le alterazioni cellulari che causano la malattia non sono presenti dall’inizio della vita dell’individuo, ma intervengono nel tempo. Ogni volta che una cellula si duplica, infatti, vi è un certo numero (fortunatamente molto basso) di mutazioni che vengono introdotte nel suo DNA. Se queste mutazioni intervengono in geni fondamentali per i processi cellulari (per esempio, per la proliferazione e la morte cellulare), essi ne risultano alterati e la cellula inizia la sua trasformazione tumorale.

Oltre a essere indotte dai normali meccanismi cellulari, le mutazioni possono essere causate da agenti esterni o interni all’organismo. Ad esempio, i fattori ambientali, come l’esposizione alle radiazioni o a sostanze chimiche cancerogene, i fattori endocrini e quelli legati ad altre patologie possono alterare l’equilibrio cellulare e innescare dei meccanismi di trasformazione tumorale.

Tra i fattori che aumentano il rischio di sviluppo di carcinoma della mammella vi sono gli interferenti endocrini, in particolare gli xenoestrogeni, cioè sostanze estrogeno-simili, come il bifosfofenolo A, gli ftalati, l’atrazina e le diossine.

Infatti, la ghiandola mammaria si sviluppa grazie allo stimolo ricevuto dagli estrogeni, i quali si legano ai loro recettori presenti nelle cellule e inducono la proliferazione cellulare. Finché i livelli di estrogeni sono normali e non ci sono altri fattori che possono alterare l’equilibrio proliferativo, la ghiandola si sviluppa normalmente e si mantiene tale. Gli xenoestrogeni, però, legano il recettore per gli estrogeni e lo attivano allo stesso modo degli ormoni naturali, producendo un aumento della crescita cellulare. Dato il legame con gli estrogeni, non sorprende che portare avanti una gravidanza riduce il rischio di ammalarsi, poiché la quantità di estrogeni diminuisce in quel periodo.

Da un punto di vista clinico, il carcinoma della mammella viene distinto nelle forme non invasive e in quelle invasive. Tra le prime vi sono la neoplasia duttale intraepiteliale (DIN o carcinoma in situ) e la neoplasia lobulare intraepiteliale (LIN).

Le due forme invasive più frequenti sono il carcinoma duttale e il carcinoma lobulare, quelle meno frequenti sono i carcinomi tubulare, papillare, mucinoso e cribriforme. Le forme invasive, per definizione, tendono a invadere i linfonodi e a produrre metastasi a distanza. In base alla dimensione del carcinoma e all’interessamento delle altre strutture (linfonodi o altri organi) viene definito lo stadio del tumore, che va da 0 a 4.

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Chiara Tuccilli | Biologa e Dottore di Ricerca in Scienze Endocrinologiche
Scritto da Chiara Tuccilli | Biologa e Dottore di Ricerca in Scienze Endocrinologiche

Da sempre interessata alla divulgazione scientifica e con un'implacabile sete di conoscenza che vorrei condividere, sono Biologa, laureata in Biotecnologie Mediche e Dottore di Ricerca in Scienze Endocrinologiche. Svolgo sia attività libero professionale di Biologo Nutrizionista sia attività di ricerca, presso l’Università "La Sapienza" di Roma.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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