Curare (definitivamente?) le emorroidi: la terapia più adatta a ogni caso

Redazione

Ultimo aggiornamento – 14 Aprile, 2020

Emorroidi: i Trattamenti

A cura di sanita_informazione


A cura del dr. Salvatore Cuccomarino, specialista in proctologia.


Come trattare le emorroidi? Ovviamente, è necessario valutare ogni caso per trovare la strada terapeutica migliore. Il dr. Salvatore Cuccomarino ci fa una panoramica dei trattamenti.

Emorroidi, sì, ma di quale grado?

Ecco la descrizione di come trattiamo le emorroidi fino al terzo grado nei nostri ambulatori: la LEGATURA ELASTICA.

Partiamo dai gradi. I gradi sono un sistema convenzionale semplice (anche se non l’unico) di classificare le emorroidi:

  • 1º grado: emorroidi piccole, che non prolassano (fuoriescono) mai;
  • 2º grado: emorroidi che prolassano, ma che si riducono spontaneamente;
  • 3º grado: emorroidi che prolassano, e che il paziente deve ridurre manualmente (che non rientrano da sole);
  • 4º grado: emorroidi non riducibili.

In cosa consiste il trattamento elastico?

Molti autori pongono indicazione al trattamento elastico solo fino al 2° grado; in realtà, l’esperienza ci ha insegnato che anche le emorroidi di 3° grado possono essere convenientemente trattate con la legatura, evitando così il tavolo operatorio. Ciò è particolarmente interessante per i pazienti anziani, spesso con multiple patologie, per i quali l’indicazione all’intervento, tenendo conto del rischio anestesiologico, dev’essere posta con cautela.

Il nostro protocollo è standardizzato da molti anni: 6 sedute di legature, distanziate di 15 giorni tra loro, e due sedute finali di sclerosi con kinurea, anch’esse a intervalli di 15 giorni.

La sicurezza di un protocollo così disegnato è elevatissima. I Sacri Libri sostengono che sia possibile legare fino a tre cuscinetti emorroidari per volta; in realtà, ciò che si ottiene con la legatura è l’ischemia e il successivo distacco dell’area legata, con formazione di una cicatrice che fissa la mucosa del retto ai sottostanti piani muscolari.

Aumentare l’area ischemica aumenta il rischio di perforazione del retto (evento temibilissimo, che provoca un’infezione grave dei tessuti perirettali), quindi mai legare più di un cuscinetto emorroidario per volta! Inoltre, mi è capitato di vedere dei prolassi emorroidari gravi, con indicazione chirurgica urgente, in pazienti a cui erano state legate tre o più emorroidi in una volta.

La prudenza prima di tutto, è questo il segreto di un trattamento efficace!

La legatura, se fatta bene, è RAPIDISSIMA E PRATICAMENTE INDOLORE: ciò che il paziente può avvertire nell’immediato è una specie di discomfort, come di stimolo alla defecazione senza riuscire a farlo. Questo discomfort, che può essere molto ridimensionato semplicemente assumendo del metamizolo, del paracetamolo, o comunque un analgesico mezz’ora prima della sessione, è passeggero e scompare quasi sempre nel giro di alcune ore; qualche giorno dopo la legatura, il gavocciolo strangolato si stacca e viene eliminato con le feci, in genere senza che il paziente si accorga di nulla (occasionalmente, si possono notare alcune gocce di sangue).

Terminato il trattamento, il nostro protocollo prevede il controllo del paziente una volta l’anno.

Quando, invece, si procede con la dearterializzazione emorroidaria?

La dearterializzazione emorroidaria è una delle tecniche chirurgiche per il trattamento della patologia emorroidaria che più ha preso piede negli ultimi anni.

Per capire come funziona, bisogna brevemente ricordare cosa sono le emorroidi: sono cuscinetti costituiti da un’impalcatura di fibre muscolari e connettivali di vario tipo, ricoperti dalla mucosa del retto e contenenti degli shunts artero-venosi, cioè un sistema vascolare costituito da vene (il plesso emorroidario interno) e arterie (rami dell’arteria rettale superiore) uniti tra loro. La normale funzione fisiologica delle emorroidi viene regolata dall’afflusso del sangue attraverso i vasi arteriosi e dal suo deflusso attraverso le vene.

In presenza di malattia emorroidaria, uno dei sistemi per trattarla è “dearterializzare” i cuscinetti emorroidari, ovvero interromperne l’afflusso arterioso: ciò diminuisce le dimensioni dei cuscinetti emorroidari, il sanguinamento e, in generale, il “discomfort” del paziente, costituito, come già si è detto, da prurito, irritazione perianale, soiling eccetera.

La pratica clinica ha dimostrato che questo metodo può essere applicato convenientemente al prolasso mucoemorroidario di 2° e di 3° grado. Si tratta di un intervento tecnologicamente molto avanzato, che può essere eseguito attraverso l’uso di due tecniche diverse.

Il primo prevede l’utilizzo di uno speciale anoscopio che integra una sonda doppler: attraverso l’analisi del segnale doppler, il chirurgo identifica i rami arteriosi da legare e, appunto, li lega, con una particolare tecnica di sutura che consente, alla fine, di ridurre anche il prolasso mucoso.

Nella seconda tecnica, si utilizza un dispositivo differente che consente di posizionare le suture in posizione fisse e prestabilite, che corrispondono alle posizioni anatomiche dei rami terminali delle arterie emorroidarie.

Entrambe le metodiche, inoltre, non possono essere improvvisate, perché sono standardizzate fino all’ultima virgola e richiedono, per la corretta esecuzione, speciali kit di strumenti e una particolare abilità del chirurgo.

Quali sono i risultati?

Bene, partiamo da alcuni dati pre-operatori generali: prima dell’intervento, nei pazienti candidati al trattamento chirurgico – qualunque esso sia – della patologia emorroidaria si osservano: sanguinamento, in una percentuale variabile, a seconda delle casistiche, dal 45 al 100%; dolore, dal 12 all’83% dei casi; prolasso, dal 12 al 100% dei casi. Le differenze tra casistiche, a volte davvero macroscopiche, dipendono dai protocolli applicati in ogni Centro per stabilire l’indicazione all’intervento.

Questi sono i risultati a un anno dopo l’intervento di dearterializzazione: il sanguinamento permane nel 6,2 – 9,5% dei casi, il dolore alla defecazione nell’8,7%, il prolasso nel 7,8 – 10,8% dei pazienti (dati pubblicati dal NICE, National Institute for Health and Clinical Excellence).

Lo stesso report del NICE dichiara che la soddisfazione media dei pazienti in una scala da 0 a 10 (dove 0 = assolutamente insoddisfatto e 10 = assolutamente soddisfatto) è pari ad 8.

Si tratta di dati soddisfacenti?

Assolutamente sì, soprattutto se si tiene conto del dolore postoperatorio, che in questo intervento è davvero molto moderato, e del fatto che la ripresa delle normali attività dopo la chirurgia è rapidissima.

La dearterializzazione transanale delle emorroidi è ormai la tecnica di elezione per i nostri pazienti con patologia emorroidaria candidati a intervento chirurgico. Si tratta, nelle nostre mani, di una tecnica veloce, con minimo sanguinamento e dolore contenuto, che consente un veloce ritorno alle proprie attività e abitudini quotidiane.

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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