Intervista al dottor Alessandro Quattrone, direttore CIBIO, Centro di Biologia Integrata – Università di Trento. Il CIBIO di Trento fa parte della rete di eccellenza sullo studio del Neuroblastoma sostenuta dalla Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma O.N.L.U.S.
Oggi parliamo di neuroblastoma, tumore embrionario maligno delle cellule del sistema nervoso, caratteristico del bambino, in un’ottica di possibili cure e trattamenti, assieme al dottor Alessandro Quattrone, direttore del CIBIO – Centro di Biologia Integrata dell’Università di Trento.
Neuroblastoma e nuove cure: cosa ha spinto voi ricercatori a provare a utilizzare farmaci già usati in clinica per altre malattie?
L’identificazione di nuove molecole che potrebbero diventare nuovi farmaci efficaci per curare un tumore aggressivo, come il neuroblastoma, è l’obiettivo principale del nostro lavoro di ricercatori, ma anche il più difficile da raggiungere.
Essendo considerato una malattia rara, siamo marginalmente affiancati dall’industria farmaceutica che, com’è naturale, ragiona anche in termini di mercato, quindi, lo sforzo economico richiesto per partire da un nuovo bersaglio di terapia, qualora fosse individuato, e disegnare su di esso una molecola efficace, sarebbe particolarmente oneroso.
Dunque, pur perseguendo anche questo primo obiettivo, niente deve essere lasciato intentato per una malattia che ancora uccide più della metà dei bambini cosiddetti “ad alto rischio”, abbiamo pensato di adottare una sorta di “scorciatoia”.
Sono circa 900 le molecole che attualmente si utilizzano come farmaci, non solo nei tumori ma per qualunque malattia, frutto del secolo di lavoro che è passato dalla nascita della farmacologia scientifica. Siccome nessuno ha dimostrato che una molecola efficace come farmaco per una patologia non possa esserlo, magari anche di più, per un’altra – anzi, esistono diversi casi che provano il contrario -, ci siamo messi a frugare in questa collezione di 900 farmaci per vedere se alcuni potessero essere efficaci, più di quelli usati adesso, nel Neuroblastoma. Sono i cosiddetti farmaci “riposizionati”.
Abbiamo condotto diverse campagne di screening, come le chiamiamo noi, interrogando in modo diverso le cellule che usiamo per queste ricerche. Che domanda si fa, cosa si va a leggere a valle del trattamento è cruciale per identificare delle molecole “scommessa”, cosiddette, da sottoporre poi a tanti tipi diversi di test prima di poter dire di avere un candidato interessante.
Quali sono i risultati ottenuti e, dunque, in che modo i farmaci riposizionati (come il Ponatinib) agiscono nella lotta contro il Neuroblastoma?
In questi anni di “pesca” nel mare dei farmaci riposizionabili abbiamo trovato diverse molecole interessanti, usate appunto dai medici per altre indicazioni: un antibiotico antifungino che poi tuttavia si è rivelato non abbastanza potente sul Neuroblastoma, un nutraceutico che è ancora in corso di studio, e come ultimo il Ponatinib.
Quest’ultimo è particolarmente intrigante per due motivi: il primo è che è emerso da uno screening che abbiamo realizzato su tutti i nuovi farmaci anticancro in corso di sperimentazione clinica o già dati ai pazienti per altri tumori, e il secondo che ha funzionato bene in tutti i test ai quali lo abbiamo sottoposto. Quindi, è una molecola già usata nel cancro, non solo già usata come farmaco, e particolarmente promettente per il Neuroblastoma.
Qual è il vantaggio – per il paziente – di utilizzare farmaci già noti?
Qualunque sia l’origine del farmaco – riposizionamento o meno – il vantaggio per il paziente c’è quando il farmaco ha una maggiore efficacia rispetto a quelli di cui già disponiamo. Nel neuroblastoma il problema principale è che, nei pazienti cosiddetti ad alto rischio, a un certo punto sviluppano resistenza ai farmaci convenzionali e non si hanno più armi con cui combattere la battaglia.
Il vantaggio nello sviluppo di farmaci riposizionati, anche per il paziente, è essenzialmente un vantaggio di tempo, costi, e sicurezza. I farmaci in uso hanno superato già le prove cliniche che devono stabilire l’assenza di tossicità importanti e identificare gli effetti collaterali attesi: sono studi di anni su centinaia di persone, i cui risultati anche parzialmente negativi bloccano ulteriori test clinici.
Per i farmaci in uso è già chiara la sicurezza d’uso, e si tratta direttamente di dimostrarne l’efficacia: un percorso facilitato e più rapido.