A cura del prof a.c. Antonio Caretto, Presidente Fondazione ADI – Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica. Direttore UO Endocrinologia, Malattie metaboliche, Dietetica e Nutrizione clinica presso l’Ospedale “Perrino” ASL BR.
10 ottobre. Si celebra in questa data la Giornata mondiale dell’obesità, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così tanto importante per la salute: il controllo del proprio peso.
L’obesità non è una questione estetica, ma un problema, una patologia che deve essere trattata. Lo sa bene la ADI – Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica, che propone a tutti il decalogo di regole per seguire la dieta giusta.
Abbiamo, dunque, rivolto alcune domande al prof. Antonio Caretto, endocrinologo e presidente della Fondazione ADI, per approfondire, in particolare, un disturbo legato al peso in eccesso: l’osteoartrosi e i dolori alle ossa.
Qual è il legame tra obesità e artrite?
Innanzitutto, bisogna sapere che l’obesità è considerata uno dei più importanti fattori di rischio di osteoartrosi, specialmente del ginocchio. La prevalenza di osteoartrosi aumenta in età geriatrica in entrambi i sessi, insieme all’aumento di peso correlato agli anni.
È stato dimostrato come l’obesità si associ a osteoartriti, anche disabilitanti, come l’artrite psoriasica e a un aumento del rischio di gotta. Inoltre, l’artrite reumatoide è l’artrite infiammatoria più comune, ed è una malattia infiammatoria autoimmune sistemica cronica, caratterizzata da un’infiammazione simmetrica aggressiva di articolazioni multiple.
L’artrite reumatoide colpisce l’1-2% degli adulti e la prevalenza è circa dello 0,5-1,0% nel mondo.
L’obesità o un BMI più elevato aumentano il rischio di artrite reumatoide. Tuttavia, il meccanismo alla base dell’associazione deve essere ulteriormente chiarito. Il tessuto adiposo degli individui obesi secerne citochine infiammatorie, come leptina, TNF-α, IL-6, interleuchina-1β e proteina chemotattica-1 dei monociti (MCP-1). Queste adipokine inducono una risposta infiammatoria negli individui. Vi sono livelli elevati di questi marker infiammatori negli individui prima dell’inizio dell’artrite reumatoide, svolgendone quindi un ruolo nel determinismo della malattia.
Quali sono le ossa maggiormente colpite da osteoartrite e perché?
È stato riscontrato che nei pazienti obesi vi sono punteggi più elevati di attività della malattia in 28 articolazioni (DAS28).
Lo squilibrio ormonale può condizionare il metabolismo articolare e creare infiammazioni? Cosa fare in questi casi?
L’obesità è stata significativamente correlata alle concentrazioni di diversi ormoni sessuali, come estrogeni, estradiolo ed estradiolo libero. Inoltre, è stato suggerito che gli estrogeni svolgano un ruolo di modulatore della risposta immunitaria.
Diversi studi hanno indicato che gli ormoni sessuali possono agire su una varietà di cellule immunitarie (ad esempio, cellule T, cellule B e monociti) e interferire con l’espressione e la produzione di citochine pro-infiammatorie, influenzando in tal modo lo sviluppo dell’artrite reumatoide.
Inoltre, l’infiammazione immunomediata può agire in sinergia con lo stato infiammatorio mediato dall’obesità e può influenzare l’attività della malattia nelle malattie reumatiche. Alcuni studi hanno suggerito che i pazienti obesi con malattie reumatiche mostrano un tasso inferiore di raggiungimento di bassa attività di malattia, durante il trattamento con farmaci antireumatici.
È stato evidenziato, in una meta-analisi, che essere obesi all’inizio dell’artrite reumatoide riduce le probabilità di raggiungere la remissione del 43% e le probabilità di ottenere una remissione sostenuta del 51%. L’obesità influenza negativamente sia i miglioramenti previsti nelle fasi di attività della malattia che gli esiti riportati dai pazienti durante la terapia.
Pertanto, si conclude che prevenire l’obesità comporta di per sé il prevenire l’artrite e che il calo di peso corporeo nei soggetti obesi, indotto dalle opportune strategie terapeutiche per la malattia obesità, comporta una riduzione dello stato infiammatorio generale che permette di ottenere un miglioramento clinico dell’artrite e della risposta alla terapia medica.