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La sopravvivenza grazie a un rene non compatibile

Monica Cicirello | Blogger

Ultimo aggiornamento – 31 Marzo, 2016

Recenti studi sul trapianto in pazienti con malattie ai reni hanno dato una speranza a chi, in queste condizioni, deve attendere in lista per trovare un donatore compatibile. Attesa che, a lungo andare, costerebbe la vita. Sembra, infatti, sia possibile trapiantare un organo proveniente da un donatore incompatibile, permettendo così al paziente di sopravvivere più a lungo.

Come trapiantare un rene non compatibile

Questa tecnica di intervento innovativa, secondo gli esperti, sarebbe indicata anche per i pazienti altamente sensibili, che potrebbero avere rigetto. Ciò si verifica nei pazienti che ad esempio hanno affrontato più trasfusioni di sangue durante una dialisi, o per le donne che hanno avuto diverse gravidanze. Questa tipologia di pazienti risulta essere quella per la quale si trova un organo compatibile con più difficoltà, secondo quello che spiega il dottor Dorry Segev, professore di chirurgia alla Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora. Ecco che quindi questa nuova tecnica subentra al fine di avviare una sorta di trattamento “antisensibilizzazione” al paziente interessato.

Le ricerche a riguardo sono state avviate 15 anni fa dallo stesso Hopkins, seguito poi da altri centri di trapianti. Solo oggi il beneficio che può apportare è finalmente chiaro. Secondo una serie di ricerche condotte dal team di Segev, tre quarti dei pazienti ai quali era stata trapiantato un organo incompatibile sono rimasti vivi per altri otto anni.

Il dottor Michael Flessner, direttore di reparto alla U.S National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Disease,  lo considera un vero e proprio “cambiamento di paradigma”, che diventerà col tempo una pratica standard.

Dice la sua anche il dottor Harold Helderman, professore di medicina al Vanderbilt University Medical Center di Nashville, il quale aggiunge che la donazione non è da considerare una panacea. Ha, inoltre, notato che i pazienti possono rischiare fortemente le infezioni a causa della grande quantità di medicinali assunti (farmaci immunosopressori), che sopprimono il sistema immunitario. Eppure nella maggior parte dei casi, il risultato sembra essere una maggiore durata della vita, motivo per il quale tale rischi vengono accettati.

Lo studio

Il team di Segev si è basato su un gruppo di mille pazienti ai quali è stato trapiantato un rene da donatore incompatibile. Hanno comparato la loro sopravvivenza con due gruppi distinti di casi:

  • il primo, comprendente circa 5000 pazienti nella lista d’attesa per il trapianto i quali attendevano un organo disponibile;
  • il secondo, composto da più o meno lo stesso numero di soggetti, i quali dovevano rimanere in dialisi.

Otto anni dopo, oltre il 76% dei pazienti con organo incompatibile erano ancora vivi, mentre nel primo gruppo la percentuale corrispondeva al 44 % e nel secondo al 63%.

La procedura

La tecnica di cui si è parlato fino a ora non prevede un procedimento semplice. Per desensibilizzare il paziente è necessaria una procedura chiamata plasmaferesi, che consiste nel ripulire il sangue da quegli anticorpi che potrebbero costituire una minaccia per l’organo del donatore. In seguito, verranno somministrati dei medicinali volti a sopprimere il sistema immunitario, così da prevenire la riformazione di anticorpi. La plasmaferesi deve essere ripetuta più volte prima di effettuare il trapianto e, secondo quanto dice Flessner, anche in seguito all’operazione.

È anche una tecnica alquanto costosa, considerando che solo il procedimento di desensibilizzazione costa tra i 20.000$ e i 30.000$. Nonostante ciò risulta essere più economica del procedimento classico, che prevede spesso la dialisi.

Al momento sono 100.000 gli americani in lista per un trapianto di reni. Il dottor Segev consiglia di procedere con la tecnica di trapianto di un organo incompatibile, piuttosto che attendere in lista un organo compatibile.

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Monica Cicirello | Blogger
Scritto da Monica Cicirello | Blogger

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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