Brain rot o marciume cerebrale: è questa la parola che sintetizza il 2024 (e sì, c'entra la salute mentale)

Arianna Bordi | Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello
A cura di Arianna Bordi
Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello

Data articolo – 05 Dicembre, 2024

Ragazza sdraiata sul letto di sera che scrolla

Dopo aver scelto tra diverse parole, come lore, demure e romantasy, è stata brain rot a essere consacrata come parola dell’anno 2024 (“Oxford Word of the Year”) da Oxford University Press.

Ma cosa significa? Come si può collegare alla salvaguardia della salute mentale?

Scopriamolo.

Brain rot o "cervello in putrefazione": in che senso?

La produzione massiccia di contenuti online, spesso di bassa qualità, combinata con algoritmi che ci propongono contenuti sempre più personalizzati (e talvolta omogenei), sta alimentando il fenomeno del brain rot.

Il termine, che indica un presunto deterioramento delle capacità cognitive a causa di un consumo eccessivo di contenuti poco stimolanti, è diventato sempre più comune nel nostro vocabolario. Quest'anno, in particolare, l'utilizzo del termine brain rot è cresciuto del 230%, sottolineando come questa preoccupazione sia sempre più diffusa nella società.

Oxford Dictionary ha anche sottolineato come questo termine abbia origini molto antiche: infatti nel suo celebre Walden, pubblicato nel 1854, Henry David Thoreau lanciava un allarme che risuona ancora oggi: osservando la società del suo tempo, l'autore denunciava la tendenza a semplificare all'eccesso, privilegiando il pensiero pigro e superficiale.

Con una frase che anticipava i nostri tempi, Thoreau si chiedeva: “Mentre si cerca una cura per le patate marce, perché non ci si preoccupa del marciume che sta infettando le nostre menti?”

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Nel 2024, il termine “decomposizione cerebrale”, come anticipato, è stato ampiamente utilizzato per indicare il processo attraverso cui il consumo eccessivo di contenuti online di bassa qualità, prevalentemente sui social media, deteriora le capacità cognitive e critiche degli individui, innescando un circolo vizioso di disinformazione e banalità.

Andrew Przybylski, psicologo specializzato in comportamento umano e tecnologia all'Università di Oxford, sostiene che il concetto di “putrefazione cerebrale” non è sostenuto da evidenze scientifiche concrete; al contrario, lo interpreta come un'espressione della nostra insoddisfazione nei confronti dell'esperienza online e come un modo per sintetizzare le preoccupazioni legate all'uso dei social media.

Un atteggiamento, non un disturbo, ma con delle conseguenze insidiose

Immersi in un mare di informazioni inutili, notizie negative e immagini ritoccate, il nostro cervello viene sovraccaricato; si tratta di ore spese a scorrere schermi ci espongono a un flusso ininterrotto di stimoli che, anziché arricchirci, ci affaticano mentalmente. 

Questo sovraccarico cognitivo può innescare un circolo vizioso di demotivazione, difficoltà di concentrazione e calo dell'energia, con conseguenze significative, soprattutto sui giovani, che sono maggiormente esposti a questi stimoli.

Lo scorrimento compulsivo sui social media è alimentato da un bisogno profondo di connessione e di riconoscimento sociale: ogni interazione, ogni commento ci fa sentire parte di una comunità e ci conferma il nostro valore. 

Tuttavia, questa gratificazione è spesso illusoria e può portare a sentimenti di inadeguatezza e di insoddisfazione, perché il continuo confronto con le vite apparentemente perfette degli altri utenti può minare la nostra autostima e generare un circolo vizioso di dipendenza e insicurezza.


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Studi scientifici hanno evidenziato come l'uso prolungato e compulsivo di dispositivi digitali possa alterare in modo significativo le funzioni cognitive legate all'attenzione e alla memoria. 

Il meccanismo è complesso e coinvolge cambiamenti a livello neurobiologico: lo scrolling continuo, ad esempio, interrompe i processi di consolidamento della memoria, impedendo al cervello di codificare e archiviare le informazioni in modo efficace. Inoltre, la sovraesposizione a stimoli digitali può portare a una ridotta plasticità cerebrale, ovvero alla capacità del cervello di adattarsi e apprendere nuove informazioni. 

Le conseguenze a lungo termine di queste alterazioni possono includere difficoltà di concentrazione, problemi di memoria, riduzione della creatività e un maggior rischio di sviluppare disturbi dell'umore; ecco perché è fondamentale imparare a gestire in modo consapevole il nostro tempo online, dedicandoci anche ad attività che stimolano la mente e il corpo, come la lettura, lo sport e le relazioni interpersonali.

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