Ci sono davvero troppe diagnosi mediche nelle scuole? Parliamone con dati alla mano e opinioni degli specialisti

Arianna Bordi | Editor

Ultimo aggiornamento – 28 Febbraio, 2025

Bambini in classe che svolgono varie attività

Le seguenti dichiarazioni di Umberto Galimberti, in occasione di un evento sulla scuola organizzato da Confartigianato Vicenza, riguardo l’eccessiva presenza di diagnosi mediche a scuola hanno sollevato diverse riflessioni: "La scuola elementare sembra che sia diventata una clinica psichiatrica, sono tutti discalculici, disgrafici, dislessici, asperger, autistici, ma chi l’ha detto? Ai tempi miei non c’erano queste condizioni, c’era uno che era più bravo e quell’altro un po’ meno bravo che poi si esercitava e diventava bravo. Perché patologizzare tutte le insufficienze?"

Approfondiamo in questo articolo diversi punti di vista della comunità scientifica e non.

Diagnosi cliniche in classe: si parla di sovradiagnosi, ma è davvero così?

Innanzitutto, facciamo un punto sulla veridicità: tutti questi bambini con diagnosi di DSA, autismo e ADHD sono così avvantaggiati?

Marianna Monterosso, musicista, attivista per il contrasto all’abilismo, referente Intergruppo Parlamentare Diritti Fondamentali della Persona, ha commentato in maniera puntuale le dichiarazioni di Galimberti.

Oltre alla mancanza di competenza medica dietro le sue affermazioni (in quanto è sì, psicoanalista, ma non psichiatra o neuropsichiatra dell'infanzia e dell'adolescenza), ha infatti sottolineato quanto sia lunga e costosa una diagnosi di autismo o DSA, rendendo questa consapevolezza non un vantaggio, ma un percorso difficile e non accessibile a tutti; inoltre, chi ha un Disturbo dell’Apprendimento non ha diritto a un insegnante di sostegno, ma a strumenti compensativi e a un piano di studio personalizzato, quindi emerge che i bambini con diagnosi non hanno quell’impatto così pesante ed eccessivo sottolineato da Galimberti.

La ricercatrice, autrice e formatrice Eleonora Marocchini, che con la scrittura e la sensibilizzazione sui social cerca sempre di fare il punto sul concetto di neurodivergenza, ha preso spunto dalle dichiarazioni di Galimberti per sottolineare un punto cardine.

Nonostante, infatti, sia la prima a “schierarsi contro la patologizzazione della diversità umana”, afferma che è fondamentale avere una forte consapevolezza per rendere questi disturbi di natura psichiatrica e neuro-psicologica sempre più studiati e compresi, ovviamente evitando la marginalizzazione e promuovendo l’inclusione di ogni tipo di diversità.

Dunque, che durante la generazione di Galimberti non ci fossero tutte queste casistiche non sembra così fuori dal comune: semplicemente non c’era interesse e/o sensibilità medica sufficiente per comprendere la complessità dell’essere umano (si vedano, anche, ad esempio il boom di diagnosi di endometriosi e/o altre patologie di natura femminile correlate). 

E questa nuova direzione di ricerca è un qualcosa che come società abbiamo acquisito, sì, ma non con poca fatica, e solo negli ultimi vent’anni; fa parte di un percorso che non è ancora finito, è solo all’inizio.

I bambini sono eccessivamente medicalizzati? Il parere degli studiosi

 Il dottor Müller-Sedgwick, rinomato psichiatra e figura di spicco nel campo dell'ADHD presso il Royal College of Psychiatrists del Regno Unito che gestisce cliniche specializzate per adulti con ADHD dal 2007, ricorda che all'epoca esistevano solo poche strutture di questo tipo.

Quindi si è verificato un cambiamento radicale nel panorama della salute mentale, dove una condizione un tempo sottovalutata negli adulti ha guadagnato una crescente attenzione.

Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività è, infatti, una condizione relativamente nuova nel contesto della salute mentale degli adulti: sono solo 16 anni che il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) ha ufficialmente riconosciuto l'ADHD negli adulti, aprendo la strada a una maggiore ricerca e a migliori servizi di supporto.

Un punto cruciale sollevato dallo specialista riguarda la distinzione tra prevalenza e incidenza: la prima, ovvero la percentuale di persone che vivono con l'ADHD, si prevede che rimarrà relativamente stabile, attestandosi intorno al 3-4% della popolazione adulta nel Regno Unito; l'incidenza, invece, ossia il numero di nuovi casi diagnosticati, è in forte aumento.

"Ciò che è cambiato è il numero di pazienti che stiamo diagnosticando", ha spiegato il dottor Müller-Sedgwick. "È quasi come se più diagnosi facciamo, più si diffonde la voce".

Ciò significa che la maggiore consapevolezza, unita a una migliore comprensione dei suoi sintomi negli adulti, sta portando a un aumento delle richieste di valutazione e diagnosi.


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La professoressa Emily Simonoff, rinomata psichiatra infantile e adolescenziale presso il King's Maudsley Partnership for Children and Young People, concorda con le osservazioni del dottor Müller-Sedgwick, ma porta una prospettiva cruciale sull'ADHD nei bambini.

La professoressa Simonoff stima che circa il 5-7% dei bambini nel Regno Unito ne soffra; un dato che, come sottolinea, rimane "abbastanza simile in tutto il mondo, è stato costante e non è effettivamente aumentato".

La specialista riconosce una "forte ascesa" delle persone che si presentano per una valutazione dopo l'inizio della pandemia, ma a suo avviso è il risultato di anni di "sotto-riconoscimento a lungo termine" dell'ADHD nei bambini.

Per supportare la sua tesi fa riferimento alle statistiche sui farmaci: ci si aspetterebbe che circa il 3-4% dei bambini nel Regno Unito ne necessitasse per l'ADHD, ma in realtà solo l'1-2% li utilizza; secondo lei questo dato dimostra chiaramente che stiamo ancora sottovalutando la reale portata del problema. 

Dunque, l'aumento delle diagnosi di ADHD nei bambini non è necessariamente un segno di sovradiagnosi, ma piuttosto un indicatore che i servizi stanno finalmente recuperando il tempo perduto; e si tratta di un processo fondamentale per garantire che i bambini con ADHD ricevano il supporto e il trattamento di cui hanno bisogno per raggiungere il loro pieno potenziale.

La diagnosi precoce e l'intervento tempestivo possono, infatti, fare una differenza significativa nella vita di un bambino con queste difficoltà, aiutandolo a gestire i suoi sintomi e a sviluppare le competenze necessarie per avere successo a scuola, a casa e nella vita.

Same old story: diagnosi in aumento, ma la strada per la specificità è lunga 

I dati dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) rivelano una disparità significativa nella diagnosi di ADHD tra ragazzi e ragazze: il 13% dei ragazzi riceve una diagnosi, rispetto al 6% delle ragazze.

Si tratta di una differenza che non riflette necessariamente una diversa prevalenza tra i sessi, ma piuttosto un problema di sotto diagnosi e sotto trattamento cronico nelle ragazze.

Le ragioni di questa disparità sono molteplici e complesse: innanzitutto, i criteri diagnostici per l'ADHD, come originariamente stabiliti nel DSM-III, sono stati sviluppati prevalentemente attraverso l'osservazione di ragazzi con comportamenti dirompenti.

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Come è accaduto per tante altre patologie o disturbi, la definizione della sindrome da deficit di attenzione, quindi, si adatta meglio ai sintomi tipicamente manifestati dai ragazzi, come l'iperattività e l'impulsività, rispetto ai sintomi che le ragazze possono presentare, come la disattenzione, la difficoltà a organizzarsi e la tendenza a sognare ad occhi aperti.

Sebbene, infatti, i criteri diagnostici siano stati aggiornati nel tempo per includere una gamma più ampia di manifestazioni dell'ADHD, persistono ancora delle lacune. A causa di ciò, quindi, il gender health gap sta vincendo ancora: le ragazze con ADHD possono non ricevere la diagnosi e il trattamento di cui hanno bisogno, con conseguenze negative sul loro rendimento scolastico, sulle loro relazioni sociali e sul loro benessere emotivo.

Arianna Bordi | Editor
Scritto da Arianna Bordi | Editor

Dopo la laurea in Letteratura e Lingue straniere, durante il mio percorso di laurea magistrale mi sono specializzata in Editoria e Comunicazione visiva e digitale. Ho frequentato corsi relativi al giornalismo, alla traduzione, alla scrittura per il web, al copywriting e all'editing di testi.

Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
Arianna Bordi | Editor
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