Autismo: sapresti riconoscere i primi sintomi?

Redazione

Ultimo aggiornamento – 29 Marzo, 2021

autismo: i sintomi da valutare per una diagnosi precoce

Cosa può fare la differenza, quando si parla di autismo? Senza alcun dubbio, una diagnosi precoce. In passato, cogliere i sintomi del disturbo non era così semplice; solo intorno ai 4-5 anni del bambino, le anomalie comportamentali aprivano la strada all’ipotesi che potesse trattarsi proprio di Disturbo dello Spettro Autistico.

Oggi, fortunatamente, non è più così. La direzione presa mira a un unico obiettivo: valutare sin dal primo anno di vita eventuali sintomi, per iniziare con un intervento riabilitativo immediato e precoce, andando ad agire proprio in quegli anni in cui si “dà forma” al comportamento del piccolo.

Come fare, dunque, a riconoscere i sintomi dell’autismo?

Per prima cosa, è bene focalizzare l’attenzione sulle azioni quotidiane del bambino. Sono stati raccolti e identificati alcuni dei comportamenti specifici dei piccoli pazienti autistici, già a 12 mesi di età.

Quattro sono gli atteggiamenti-spia presenti nel 90% dei casi (Symptoms of pervasive developmental disorders as observed in prediagnostic home videos of infants and toddlers. – Mars, Mauk, & Dowrick, 1998):

  1. Sguardo basso e non diretto.
  2. Tendenza a indicare gli oggetti.
  3. Tendenza a non girarsi, quando si è chiamati per nome.
  4. Isolamento.

In poche parole, una bassa o assente risposta agli stimoli sociali e una chiara avversione al contatto con le altre persone.

Questi modi di fare tendono ad acuirsi sempre di più, palesandosi con maggiore chiarezza intorno ai 18 mesi e nel periodo prescolastico (3 anni), quando appare evidente il deficit linguistico e la difficoltà alla comunicazione verbale. I bambini autistici, infatti, tendono a restare soli, a ripetere dei giochi simbolici più volte e a imitare i gesti e le parole dell’interlocutore.

Il ruolo chiave dei genitori nella diagnosi dell’autismo

Non è per nulla semplice per un genitore riscontare la patologia, né è scontato che a farlo precocemente sia un insegnante o un professionista sanitario. Per questa ragione, è importante aumentare le consapevolezze sui sintomi dell’autismo e sugli screening specifici da eseguire.

La difficoltà, infatti, nasce dal fatto che circa il 25% dei bambini nei primi anni di vita mostra problemi di sviluppo, ma non sempre si è di fronte all’autismo. Per questa ragione, è indispensabile che durante le visite pediatriche ci si concentri su eventuali anomalie del comportamento, come consigliato dall’American Academy of Pediatrics (AAP) e da numerosi specialisti di ogni Paese.

Sì dunque all’ascolto e alla condivisione delle preoccupazioni dei genitori, senza alcuna resistenza, proponendo anche dei questionari, che diano una chiave di lettura più chiara alle perplessità dei familiari. Regressione o perdita delle abilità linguistiche e problemi di relazione e sviluppo sociale rappresentano dei segni che devono mettere quantomeno in allarme.

Vediamo, dunque, insieme quali sono le domande che è bene porsi davanti ad alcuni comportamenti:

  • Perché il bambino non risponde, se chiamato per nome?
  • Perché non è capace di chiedere chiaramente ciò che desidera?
  • Qual è la causa di un linguaggio ritardato?
  • Perché non segue le indicazioni che gli si danno?
  • Perché a volte sembra essere quasi sordo?
  • Perché non saluta con la mano?
  • Perché tende a isolarsi?
  • Perché non sorride?
  • Ama giocare da solo, ma come mai lo fa sempre?
  • Non guarda negli occhi: come è possibile?
  • Come mai appare sempre “nel suo mondo”?
  • Perché non mostra interesse verso gli altri bambini?
  • Perché non ama gli abbracci e le coccole?

In alcuni casi, è bene notare anche:

  • crisi d’ira eccessive e immotivate;
  • iperattività;
  • incapacità a usare i suoi giochi;
  • ripetitività delle azioni;
  • inclinazione a camminare in punta di piedi;
  • ipersensibilità a suoni e tessuti;
  • propensione ad allineare gli oggetti.

Se il piccolo ha più o meno 12 mesi e presenta il Disturbo dello Spettro Autistico, potrebbe manifestare:

  • mancanza di gestualità;
  • nessuna lallazione;
  • incapacità a parlare.

Chiariti questi aspetti, un confronto con uno specialista potrebbe essere risolutivo nella diagnosi precoce.

Diagnosticato l’autismo, che fare?  

Quando non ci sono dubbi e si è di fronte al disturbo, non resta che affidarsi ai consigli degli esperti e iniziare sin da subito con un percorso riabilitativo mirato. In Italia, l’intervento intensivo cognitivo comportamentale è previsto come terapia di riferimento per l’autismo dalle Linee Guida nazionali del Ministero della Salute, pubblicate nel 2011-2012.

Il trattamento intensivo è di tipo cognitivo-comportamentale già in età prescolare. Lo scopo è di trasmettere al piccolo l’importanza di “imparare ad imparare” (Klevestrand, Isaksen , Gløersen & Gløersen, 1996).

Numerose ricerche hanno, infatti, evidenziato che la corretta organizzazione di tempi, spazi e attività in età precoce incide in maniera significativa sui comportamenti futuri, migliorando la qualità della vita non solo del paziente, ma anche dell’intero sistema familiare.

Alla fine degli anni Sessanta, il dr. Ivar Lovaas ha proposto delle soluzioni validissime, ponendosi come precursore delle linee guida per il trattamento dei disturbi legati all’autismo.

Si parla, nello specifico, di sessioni d’insegnamento altamente strutturate, in rapporto uno a uno (paziente-insegnante/logopedista), per una durata di almeno trenta ore settimanali, in un contesto scolastico e a casa. Importante è poi utilizzare e seguire il metodo ABA (Applied Behavior Analysis), che prevede lo studio e la manipolazione degli eventi funzionali per definire l’obiettivo dell’intervento.

Si sfruttano, dunque, i principi dell’analisi comportamentale di base (EAB: Experimental Analysis of Behavior) su comportamenti che hanno un valore socialmente significativo, per generare cambiamenti nel soggetto autistico e migliorare la sua integrazione nella famiglia e nella comunità.

Questo metodo, che andremo in seguito ad approfondire, si basa sul principio che “il comportamento è ordinato”, ovvero parte da input che lo evocano e lo controllano. Parliamo di stimolo, risposta e conseguenza.

Come già detto, prima s’inizia questo percorso, prima alcuni comportamenti ed eventi saranno vissuti e assimilati correttamente. Non bisogna mai aver alcun timore o negare l’evidenza: agire da subito è la cosa migliore per il piccolo, che potrà così vivere con maggiore serenità la sua vita da adulto.


In collaborazione con “Un Cuore per l’Autismo O.N.L.U.S.“. 



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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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