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Toxoplasmosi pericolosissima in gravidanza: scopriamo perché

Redazione

Ultimo aggiornamento – 14 Aprile, 2020

toxoplasmosi in gravidanza

Dr. Gianfranco Blaas, specialista in ginecologia. 


La toxoplasmosi non è una malattia particolarmente preoccupante, a meno che non venga contratta in gravidanza! Il dr. Gianfranco Blaas, ginecologo, ci spiega tutti i pericoli del caso.

Cos’è il toxoplasma?

Il toxoplasma è un protozoo a parassitismo endocellulare obbligato, largamente diffuso in natura, con serbatoio in molti animali, tra cui emergono, per importanza, i felini.

I gatti domestici e selvatici, che rappresentano un’importante fonte di diffusione del microrganismo, contraggono la toxoplasmosi ingerendo prede, quali roditori o uccelli a loro volta infettati dal parassita.

Nel gatto, dopo la penetrazione per via orale, ha inizio il ciclo replicativo intestinale mediante il quale gli organismi si moltiplicano nelle pareti dell’intestino tenue, producendo delle piccole uova, denominate oocisti, che verranno escrete con le feci nell’ambiente circostante.

Una volta all’esterno, se esistono le condizioni adeguate di umidità e temperatura, le oocisti possono maturare (sporulazione) divenendo infettive per l’uomo, i volatili e altri animali (suino, bovino, pecora, cavallo, topo ecc) e, attraverso la via orale, raggiungere l’intestino.

In questa sede, i protozoi penetrano nella parete e si diffondono in altri organi, soprattutto muscoli e cervello, formando piccole cisti (ciclo extraintestinale). Tale evenienza si può riscontrare anche nel gatto. Nell’uomo, l’ingestione di carni crude rappresenta probabilmente la via più comune di esposizione al toxoplasma, tuttavia, si possono avere infezioni anche per contatto diretto (oppure indiretto) con feci di gatto contenenti le oocisti e infezioni congenite per trasmissione da madre a feto.

Queste ultime si osservano con frequenza maggiore nella pecora, nella capra e nell’uomo, mentre sono rare nel gatto.

Come si manifesta la toxoplasmosi?

L’infezione è usualmente asintomatica; persiste tutta la vita senza segni di malattia, ma, in soggetti immunocompromessi, l’infezione si può riattivare e dare quadri neurologici o, più raramente, manifestazioni a carico di altri organi.

L’evento più temibile a proposito di questa infezione è il contrarla durante la gravidanza, perché è frequentemente associata ad aborto tardivo o a gravi patologie neonatali.

La toxoplasmosi acquisita decorre in stadi:

  • Fase asintomatica (soggetti immunocompetenti)
  • Fase acuta sintomatica (nel 10%) dei casi)
  • Fase subacuta
  • Fase cronica (persistenza del parassita)
  • Toxoplasmosi congenita ( quella che ci riguarda per la gravidanza)

La fase sintomatica presenta un periodo d’incubazione di 10-20 giorni. I sintomi sono simili alla mononucleosi:
brividi, mialgia, astenia, ingrossamento delle linfoghiandole, mal di testa ( si tratta di meningite lieve), mal di gola, senso di “ossa rotte”, febbre, ingrossamento di fegato e milza. Guarigione dopo 4-6 settimane. Rischio di infezione materna.

Fase subacuta: la comparsa degli anticorpi blocca la parassitemia, ma vi è persistenza del protozoo nel SNC e negli occhi (toxoplasmosi oculare).

Il soggetto che contrae una toxoplasmosi resta protetto per tutto l’arco della vita da recidive, perché risponde all’infezione con produzione di anticorpi e linfociti specifici.

La risposta del soggetto al toxoplasma gondii determina il passaggio alla seconda fase della toxoplasmosi (toxoplasmosi postprimaria), caratterizzata dall’assenza di segni clinici e di laboratorio dell’infezione acuta, ma con la persistenza del parassita nell’organismo, “incistato” nei muscoli e nel cervello.

Se le difese immunitarie vengono meno (sia per malattia, sia per trattamenti medici), il microrganismo può tornare aggressivo, riprodursi e produrre gravi danni.

L’infezione è ubiquitaria, ma la sua prevalenza varia a seconda del clima (più diffusa nei paesi caldo-umidi), delle condizioni igieniche (contaminazione dell’acqua, tipo di fognature, ecc.) e delle abitudini alimentari (consumo di carne, alimenti surgelati).

La scarsa o nulla sintomatologia (nel 10% dei casi è presente linfoadenopatia cervicale) determina la necessità di un test sierologico per la diagnosi di infezione in atto o pregressa.

Negli USA, la sieroprevalenza nella popolazione in età riproduttiva è circa 15%, in Gran Bretagna il 10-18% delle donne in gravidanza sono sieropositive, in Spagna il 19-29% , in Francia e Grecia il 55%, in Italia il 40% .

Nel nostro paese, il 60% delle donne in gravidanza è quindi a rischio d’infezione con possibile trasmissione al feto.

Quali sono i fattori di rischio della toxoplasmosi?

I fattori di rischio maggiormente associati all’infezione sono:

  • il consumo di carne cruda o poco cotta bovina ovina, o cacciagione;
  • il contatto con il terreno o il consumo di vegetali contaminati dal terreno
  • i viaggi al di fuori di Europa, USA, Canada.

Per evitare il contagio, è importante evitare il consumo di carni crude o poco cotte; ciò potrebbe ridurre il rischio d’infezione di 30-63%, mentre l’evitare il contatto con il terreno riduce il rischi del 6-17%.

Una più debole associazione è stata riscontrata con il consumo di salame e carne di maiale; la manipolazione di carne cruda nella preparazione dei pasti, il bere latte non pastorizzato, il lavoro con gli animali sono altri fattori di rischio.

In un recente studio, il contatto con i gatti non sia risultato un fattore di rischio significativo per l’infezione, le raccomandazioni riguardanti la convivenza con questi animali permangono.

Un ulteriore dato emerso è la scarsa informazione fornita alle donne nei centri di assistenza alla gravidanza. Nello stesso studio, le donne che non erano a conoscenza di nessun fattore di rischio per l’infezione rappresentavano il 2-51%, con differenze tra i vari centri.

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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