Lottare contro il tumore alla vescica, ahimè, è tutt’altro che facile. Si tratta, infatti, di un tipo di cancro particolarmente aggressivo, accompagnato spesso da metastasi e molto difficile da curare.
Uno dei fattori di rischio che incide sulla frequenza di questo tumore è il fumo di sigaretta. Il trattamento di prima linea prevede un intervento chirurgico – la cistectomia radicale – ovvero l’asportazione totale della vescica o della prostata.
Ma la ricerca sta facendo passi avanti e una innovativa sperimentazione clinica nella fase II, svolta dall’Unità di Urologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele con il Dipartimento di Oncologia Medica della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e pubblicata sul Journal of Clinical Oncology, dimostra i benefici di un nuovo farmaco inibitore dei checkpoint immunitari – pembrolizumab – farmaco antitumorale, ovvero un anticorpo monoclonale, sostanza di sintesi capace di legare in modo selettivo recettori di natura proteica presenti sulla superficie di alcune cellule tumorali, stimolando il sistema immunitario a contrastare le cellule neoplastiche, inducendo le cellule tumorali ad autodistruggersi o impedendo al recettore di legare una proteina differente che stimola la proliferazione delle cellule neoplastiche.
Lo studio sul pembrolizumab
Lo studio ha previsto la somministrazione del farmaco nella fase pre-intervento con ottimi risultati; la conseguenza? Interventi meno invasivi e minore tossicità rispetto alla tradizionale chemioterapia.
Come curare il cancro alla vescica
Ad oggi, le opzioni non sono molte. Parliamo, quindi, di:
- cistectomia radicale;
- chemioterapia con cisplatino per ridurre le dimensioni del tumore e facilitarne l’asportazione.
Purtroppo, solo il 20% dei pazienti può sottoporsi alle cure farmacologiche e, quindi, l’utilizzo di inibitori dei checkpoint immunitari potrebbe migliorare le cose. Pare, infatti, che “i farmaci, che sono valsi agli scopritori del meccanismo su cui agiscono il premio Nobel per la Medicina di quest’anno, hanno effetti collaterali ridotti e sono pertanto ottimi candidati in contesto neoadiuvante, ovvero nella fase che precede un’operazione chirurgica. In altre parole, il trattamento pre-operatorio ad oggi non permette di evitare la rimozione della vescica, ma grazie a questa scoperta in futuro si potrebbe arrivare a trattamenti più conservativi, evitando quindi la cistectomia radicale“.
Nello studio in questione, sono stati coinvolti 50 pazienti con un tumore vescicale infiltrante, trattati con 3 cicli di pembrolizumab e successivamente sottoposti a cistectomia radicale con tecnica robotica. Dopo l’esame dei tessuti asportati, è stato riscontrato nel 42% dei soggetti l’assenza di cellule tumorali. Il farmaco aveva, dunque, fatto regredire al 100% il cancro.
“Se ulteriormente confermata dai prossimi studi, l’efficacia di pembrolizumab come neoadiuvante potrebbe in futuro permettere operazioni meno invasive, anche per questo tipo di tumore, il che significherebbe una maggiore qualità della vita per chi si trova ad affrontare questa malattia e a guarirne”, afferma il dr. Francesco Montorsi, primario di Urologia presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e professore ordinario dell’Università Vita-Salute San Raffaele.
“Lo studio PURE-01 è il frutto di una straordinaria collaborazione accademica, resa possibile anche grazie al sostegno di AIRC a questo progetto attraverso un ‘MyFirst AIRC grant’. La ricerca italiana, e l’entusiasmo delle figure di eccellenza coinvolte in questo percorso, possono migliorare la cura e la qualità di vita dei pazienti”, conclude il dr. Andrea Necchi, del Dipartimento di Oncologia Medica della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
E noi, non possiamo che essere fiduciosi.
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