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Ebola: gli interrogativi più comuni

Alessandra Lucivero

Ultimo aggiornamento – 16 Ottobre, 2014

La minaccia dell’Ebola non accenna a diminuire, al contrario, nelle ultime ore, abbiamo letto di nuovi pazienti contagiati dal virus. Dagli Stati Uniti all’Europa, la preoccupazione comune si fa sempre più forte e con essa nascono nuovi interrogativi su cosa fare per evitare di correre rischi.

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Le domande più comuni

Una delle domande più comuni, soprattutto per chi è costretto a spostarsi frequentemente in volo, è cosa fare per tutelare la propria salute, laddove la necessità ci porti a entrare in contatto con numerose persone provenienti da ogni dove. Per prima cosa, è bene sapere che è impossibile capire se chi ci siede accanto è colpito dal virus, tranne se non mostra segni evidenti che insospettirebbero per prima i controlli aeroportuali. Ma, come già detto, sinora il virus non si trasmette per via area, ma solo entrando in contatto con feci, sudore e sangue del paziente colpito.

Qual è la probabilità che l’Ebola si muti in un virus per via aerea?

Sinora si afferma il contrario. Solo alcuni scienziati sostengono che l’esposizione prolungata a goccioline trasportate via aria in condizioni di laboratorio possano provocare la trasmissione della malattia. Ma anche queste affermazioni non sono certe. Nel 1989, 100 scimmie spedite dalle Filippine a un laboratorio di ricerca del governo a Reston, in Virginia, hanno iniziato un focolaio di una variante di Ebola che non danneggia gli esseri umani. In definitiva, per fermare l’epidemia, tutte le 600 scimmie sono state soppresse. La diffusione del virus dovrebbe essere avvenuta tra le gabbie e forse anche tra le camere quando le scimmie avevano starnutito o tossito.

Fortunatamente, l’Ebola in genere non provoca starnuti o tosse e la saliva normalmente non è in grado di generare grandi cariche virali.

Nessuno, quindi, può dire esattamente quanto sia forte il rischio che il virus possa mutare per diventare contagioso per via aerea. La certezza è che oggi non si sono manifestati casi di contagio aereo, quindi, niente panico e fiducia nelle informazioni che ci vengono fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Come può essere definito oggi il virus dell’Ebola?

L’Ebola è una malattia virale e i sintomi iniziali possono includere una febbre improvvisa, intensa debolezza, dolori muscolari e mal di gola. E questo è solo l’inizio: le fasi successive provocano vomito, diarrea e – in alcuni casi – sia emorragie interne ed esterne.

La malattia, come ormai è noto, infetta gli esseri umani attraverso il contatto con animali colpiti, compresi gli scimpanzé, pipistrelli della frutta e antilopi della foresta. Si diffonde poi tra gli esseri umani attraverso il contatto diretto con sangue infetto, fluidi o organi del corpo, o indirettamente attraverso il contatto con ambienti contaminati. Anche i funerali delle vittime di Ebola rappresentano un rischio, se le persone care hanno contatto diretto con il corpo del defunto.

Ma quando si è manifestata per la prima volta l’Ebola?

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L’Ebola è stata scoperta nella Repubblica democratica del Congo nel 1976. Subito manifestò la sua pericolosità e le vittime furono in tutto 331, i casi circa 600. Il virus fu allora riconosciuto in un laboratorio belga, dove arrivarono le provette con il sangue infetto di una suora nello stesso anno. Il microbiologo Peter Piot capì che non si trattava del virus di Marpurg, già conosciuto in quegli anni, ma di un virus più pericoloso, che appariva al microscopio simile a un verme. Piot e i suoi colleghi decisero di chiamarlo Ebola, dal nome della valle dove si trovava il primo focolaio.

Una minaccia che dura oltre 30 anni. Ma come si previene?

Qualche consiglio per prevenire l’aumentare dei contagi? Per prima cosa, evitare il contatto con i pazienti di Ebola e con i loro fluidi corporei. Non toccare nulla – come asciugamani condivisi e oggetti contaminati in un luogo pubblico. Lavarsi le mani e migliorare l’igiene è uno dei modi migliori per combattere il virus.

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Gli accompagnatori devono indossare guanti e dispositivi di protezione, come maschere, e lavarsi le mani regolarmente.

L’OMS mette in guardia anche contro il consumo di carne selvatica cruda e qualsiasi contatto con i pipistrelli infetti o scimmie. I pipistrelli della frutta, in particolare, sono considerati una prelibatezza nella zona della Guinea in cui l’epidemia ha avuto inizio.

Nel mese di marzo, il ministro della salute della Liberia ha consigliato alle persone di evitare i rapporti sessuali; pare infatti che il virus si trasmetta per via sessuale anche 3 mesi dopo la guarigione dalla malattia.

Insomma, non resta che agire in maniera prudente e sperare che la scienza possa fare altri grandi passi avanti, trovando una cura definitiva alla terribile malattia.

 

 

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Scritto da Alessandra Lucivero

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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