I 6 sintomi che anticipano il rischio di demenza secondo la scienza: uno è insospettabile

Mattia Zamboni | Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano
A cura di Mattia Zamboni
Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano

Data articolo – 17 Dicembre, 2025

Un signore anziano triste che guarda fuori dalla finestra

Tra i segnali psicologici che si tendono a minimizzare nella mezza età, la perdita di fiducia in sé stessi è forse uno dei più trascurati: secondo un ampio studio dell’University College di Londra (UCL), potrebbe rappresentare uno dei campanelli d’allarme precoci di un rischio aumentato di demenza, rilevabile con oltre vent’anni di anticipo rispetto alla diagnosi clinica.

La ricerca parte da una constatazione ormai nota: la depressione in mezza età è associata a un maggior rischio di demenza. Ma il dato davvero rilevante non è tanto questa correlazione generale, quanto il modo in cui essa si distribuisce.

Analizzando in modo dettagliato oltre trenta sintomi depressivi, i ricercatori hanno osservato che non è la depressione nel suo complesso a predire la demenza, bensì un gruppo ristretto e ben definito di manifestazioni psicologiche.

Ecco il dettaglio.

I sei sintomi che predicono il rischio

Dall’analisi dei dati emergono sei segnali specifici che, da soli, spiegano interamente l’aumento del rischio di demenza osservato negli adulti sotto i 60 anni.

Non si tratta di sintomi facilmente riconoscibili come segnali di malattia ma, al contrario, sono esperienze comuni, spesso attribuite allo stress lavorativo, alla pressione familiare o a una fase complessa della vita. Proprio questa apparente “normalità” è ciò che le rende clinicamente interessanti.

Eccoli:

  • perdita di fiducia in sé stessi;
  • difficoltà ad affrontare i problemi quotidiani;
  • ridotta capacità di provare affetto per gli altri;
  • sensazione persistente di tensione o nervosismo;
  • insoddisfazione nello svolgimento delle proprie mansioni;
  • difficoltà di concentrazione.

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Tra questi, la perdita di autostima e la difficoltà nel far fronte ai problemi quotidiani risultano particolarmente rilevanti: la loro presenza è associata a un aumento del rischio di demenza di circa il 50%.

Un dato che suggerisce come il modo in cui una persona percepisce la propria efficacia, più ancora del tono dell’umore, possa riflettere cambiamenti profondi nei meccanismi cognitivi.

Perché questi sintomi sono importanti

Uno degli aspetti più significativi dello studio è ciò che resta escluso: sintomi tradizionalmente associati alla depressione – come un basso stato dell’umore, i disturbi del sonno o l’ideazione suicidaria – non mostrano un legame significativo con il rischio di demenza a lungo termine.

Questo spostamento di prospettiva indica che non tutti i segnali depressivi hanno lo stesso significato biologico.

Secondo i ricercatori, i sei sintomi individuati condividono una caratteristica comune: incidono direttamente sull’impegno cognitivo, emotivo e sociale.

La perdita di fiducia in sé stessi, il ritiro affettivo o la difficoltà di concentrazione possono ridurre progressivamente la partecipazione alla vita relazionale e intellettuale, due elementi chiave per il mantenimento della cosiddetta riserva cognitiva – ovvero la capacità del cervello di compensare i danni legati all’età o a processi neurodegenerativi iniziali.

In questa prospettiva, questi sintomi non sarebbero soltanto conseguenze psicologiche, ma possibili indicatori precoci di un cambiamento neurologico sottostante, ancora lontano dall’esprimersi come declino cognitivo manifesto.

Cosa ci rivela davvero questo studio

I dati provengono dalla coorte Whitehall II, che ha seguito 5.811 adulti di mezza età per circa 25 anni. All’inizio dello studio nessun partecipante presentava segni di deterioramento cognitivo; nel tempo, poco più del 10% ha sviluppato una forma di demenza.

L’analisi dei sintomi depressivi ha permesso di isolare un profilo di rischio più preciso, superando l’idea che la depressione sia un’entità clinica omogenea.

Gli stessi autori sottolineano che si tratta di uno studio osservazionale: la presenza di uno o più di questi sintomi non equivale a una previsione individuale di demenza.Una signora anziana triste seduta sul divano

Il valore della ricerca è soprattutto preventivo e interpretativo. Riconoscere questi segnali nella mezza età potrebbe aiutare a individuare persone più vulnerabili in una fase in cui interventi psicologici, sociali e cognitivi hanno ancora un ampio margine di efficacia.

In questo senso, la perdita di fiducia in sé stessi smette di essere un disagio “secondario” e diventa un’informazione clinicamente rilevante – un segnale da ascoltare con attenzione, perché parla del modo in cui la mente e il cervello stanno affrontando il tempo che passa.

Fonti:

  • The Lancet PsychiatrySpecific midlife depressive symptoms and long-term dementia risk: a 23-year UK prospective cohort study
  • UclWhitehall II
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