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I morti per infarto stanno triplicando

Redazione

Ultimo aggiornamento – 22 Aprile, 2020

Perché aumentano i morti per infarto: le indagini del Centro Cardiologico Monzino

Gli effetti collaterali della pandemia da Coronavirus si fanno sentire anche in ambito cardiologico. 

Secondo quanto rilevato dal Centro Cardiologico Monzino, infatti, la mortalità per infarto acuto del miocardio è quasi triplicata, così come sono crollati gli accessi nei Pronto Soccorso per il trattamento d'emergenza di eventi cardiaci. 

La ragione? Il timore del contagio da Covid-19. Insomma, sembrerebbe i pazienti non richiedano assistenza alla comparsa dei primi sintomi, rischiando così di andare incontro alla morte. 

Certo, l’attuale emergenza sanitaria sta mettendo a dura prova il sistema - non solo in Italia - ma, non dimentichiamolo, che le altre patologia non sono di certo scomparse. Ed il caso più emblematico è proprio quello dell’infarto acuto che, ad oggi, rimane una delle condizione più letali nei Paesi Occidentali.

Perché le morti per infarto sono aumentate

La questione è certamente delicata e, come tale, va affrontata. Per questo, ci affidiamo alle parole del Centro Cardiologico Monzino di Milano, che ha condotto una serie di indagini per delineare un quadro quanto più preciso.

È stato dunque rilevato che, dall’inizio della pandemia, «sono diminuite del 40 percento le procedure salvavita di cardiologia interventistica», perché, hanno spiegato gli specialisti, per «timore del contagio, le persone evitano gli ospedali».

Non solo. Sembra vi sia una sottovalutazione dei sintomi dell’infarto. Secondo l’esperienza diretta del Monzino, i «pazienti che si presentano al nostro Pronto Soccorso arrivano con ritardo rispetto all’insorgenza dei sintomi, sono mediamente più compromessi e pertanto richiedono interventi più complessi e rischiosi». Dunque, meno efficaci. Inutile ribadire che il fattore tempo, quando si ha a che fare con particolari patologie, può essere davvero salvavita. 

Purtroppo, lo scenario assume contorni tragici. Il dr. Giancarlo Marenzi, Responsabile della Unità di Terapia Intensiva Cardiologica del Monzino e autore di uno studio redatto con i colleghi Antonio Bartorelli e Nicola Cosentino, ha ribadito infatti che i pazienti che giungono in ospedale sono sempre più gravi, già con «complicanze aritmiche o funzionali, che rendono molto meno efficaci le terapie che da molti anni hanno dimostrato di essere salvavita nell’infarto, come l’angioplastica coronarica primaria». 

Attenzione al contagio da Coronavirus, ma non sottovalutate mai i sintomi dell’infarto

Dati più precisi sono forniti da uno studio svolto in Spagna tra il 24 febbraio e il primo marzo sull'attività delle terapie intensive cardiologiche. Ed è stato così rilevato un crollo «del 40 percento delle procedure di angioplastica coronarica primaria», in linea con i dati estrapolati anche in altri contesti internazionali. 

Si prenda, ad esempio, il caso di New York: dalla fine di marzo al 5 aprile sono state effettuate quasi 2mila chiamate di richiesta di soccorso per arresto cardiaco: sono 4 volte di più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con un tasso di mortalità 8 volte superiore. L'arresto cardiaco, secondo gli studiosi, nella maggior parte dei casi si è manifestato proprio a causa di un infarto non trattato.

Insomma, il pericolo è di vanificare - in questi mesi di lockdown - anni e anni di campagne informative volte a sensibilizzare la popolazione sull’importanza di rivolgersi subito al Pronto Soccorso in caso di segnali di infarto. Eppure, ogni 10 minuti di ritardo nella diagnosi e nel trattamento dell’infarto, la mortalità aumenta del 3%. Se si ritarda di mezz’ora, quindi, muore il 10% in più dei pazienti.

Insomma, il messaggio è chiaro. Dobbiamo continuare certamente a fare attenzione al contagio, ma non dobbiamo esitare a recarci in ospedale per ricevere cure tempestive ed efficace - anche a fronte del fatto che, nella gran parte degli ospedali, sono stati attivati percorsi e aree differenziati per i pazienti potenzialmente affetti da Covid-19

Se questa situazione dovesse persistere, infatti, «la mortalità per infarto superererebbe di gran lunga quella direttamente associata alla pandemia», ha concluso il dr. Bartorelli, del Centro Cardiologico Monzino.

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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