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Chi è immune al coronavirus? Chi ha più interferoni

Redazione

Ultimo aggiornamento – 15 Giugno, 2022

Contrastare il Covid: Una Ragazza Allontana il Coronavirus Con un Calcio

Alcuni si ammalano facilmente e, talvolta, anche ripetutamente di Covid-19. Altri, invece, risultano positivi asintomatici, oppure non si ammalano per nulla, nonostante magari si trovino a stretto contatto con un paziente positivo al Covid-19. Come mai? 

Perché alcuni si ammalano di Covid-19 e altri no

A questo interrogativo si è cercato di dare risposta, attraverso uno studio di ricerca portato avanti dagli scienziati dell’Università Tor Vergata di Roma, in collaborazione con colleghi da tutto il mondo. Lo studio è diretto dal Consorzio Internazionale di Genetica.

Dall’inizio della emergenza sanitaria abbiamo notato che non tutti si ammalano allo stesso modo: ci sono infatti gli asintomatici, quelli che riportano sintomi lievi e purtroppo anche coloro che devono essere ricoverati in terapia intensiva e spesso purtroppo muoiono. Il virus è lo stesso, ma la differenza la fa l’ospite". Con queste parole Giuseppe Novelli, genetista ed ex rettore dell'ateneo romano, pone l'accento sulle caratteristiche immunitarie dei pazienti.

Si è deciso, quindi, di esaminare il DNA delle persone resistenti al virus, come per esempio chi ha vissuto insieme a un positivo senza per questo ammalarsi.

Interferone e Covid-19: il legame

I risultati della ricerca hanno mostrato che il 10% dei pazienti di Covid-19 possiede un difetto genetico nella produzione dell'interferone.

L'interferone è infatti una proteina secreta dalle cellule del sistema immunitario, che serve a orchestrare le risposte antivirali del nostro organismo. Tali proteine si chiamano così perché, appunto, interferiscono con i virus e gli impediscono di moltiplicarsi

Gli interferoni ricoprono infatti la funzione di riconoscimento di germi, batteri, virus e cellule tumorali presenti nel nostro corpo: in sostanza, riconoscono una minaccia per l'organismo per poi segnalarla al sistema immunitario stesso, attivando le cellule natural killer (che hanno lo specifico compito di neutralizzare le minacce immunitarie).

Una carenza nella produzione di interferone del gruppo beta sembrerebbe essere correlata a una maggiore suscettibilità di sviluppare gravi patologie polmonari in caso di infezioni virali. Producendo meno interferone, quindi, risulta più probabile ammalarsi di SARS-CoV-2, anche in forme gravi.

Inoltre, i coronavirus come SARS-Cov-2 avrebbero sviluppato meccanismi in grado di sopprimere la produzione endogena di interferone, aiutando il virus a eludere la barriera naturale costituita dal sistema immunitario. 

L’interferone come terapia antiCovid-19: un’ipotesi da confermare

L'ipotesi formulata dallo studio, dunque, mostrerebbe che le persone più resistenti al virus siano in grado di produrre interferone in maggiori quantità, proteggendosi dal Covid

La somministrazione di interferone esogeno prima o durante l'infezione virale potrebbe allora risultare utile per prevenire o ridurre notevolmente la replicazione virale, riducendo potenzialmente la gravità dell'infezione e accelerandone il recupero.

Dai futuri sviluppi di questa ricerca, che deve ancora confermare o smentire tale ipotesi, si potrebbero allora sviluppare farmaci antivirali o anticorpi monoclonali in grado di contrastare il coronavirus in maniera efficace.

Oltre al vaccino anticovid, infatti, per contrastare virus altamente patogeni come la SARS-Cov-2 non è escluso il ricorso a terapie differenti, per esempio per essere di supporto a chi non può essere vaccinato. Non ci resta che attendere gli ulteriori sviluppi di questa ricerca.

Vuoi saperne di più? Ascolta il podcast su Covid-19: un anno dopo.

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a cura di Dr.ssa Gloria Negri
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