Il nuovo coronavirus potrebbe restare nell'aria fino a trenta minuti ed essere diffuso in ambienti chiusi anche a partire da una distanza di 4,5 metri. È quello che sostiene uno studio epidemiologico pubblicato dalla rivista scientifica Practical Preventive Medicine (e poi ritirato) e ripreso dal South China Morning Post.
Lo studio
La ricerca si è concentrata su un gruppo di casi del 22 gennaio 2020, quando l'epidemia non era ancora diventata una emergenza in Cina. Un passeggero con i sintomi del coronavirus, identificato con la lettera A, è salito su un autobus pieno da 48 posti e si è seduto nell'ultima fila (questi dati sono stati recuperati grazie al filmato dell'interno del veicolo). L'uomo non è entrato in contatto diretto con gli altri passeggeri, e tuttavia (secondo i ricercatori) avrebbe contagiato altri sette viaggiatori, tutti senza mascherina, tra i quali anche alcuni che sedevano poche file più avanti rispetto ad A, a una distanza appunto di 4,5 metri.
In seguito, altri viaggiatori senza mascherine saliti sull'autobus verso la fine della corsa sarebbero poi rimasti contagiati. Il "paziente A" è poi salito su un altro autobus, contagiando nell'arco di un'ora, sempre secondo lo studio, altri due individui che si trovavano a una distanza di 4,5 metri.
La permanenza del nuovo coronavirus sulle superfici dipenderebbe infine da una serie di variabili, come la temperatura e la tipologia della superficie: a 37 gradi centigradi il virus potrebbe resistere fino a tre giorni su plastica, metallo, vetro, carta e tessuti e fino a cinque nei liquidi corporei e nelle feci.
Secondo la ricerca, quindi, sarebbero gli ambienti piccoli e chiusi ad aumentare il rischio del contagio, soprattutto in vista della presunta distanza di sicurezza, che ora eccede la misura di un metro, riconosciuta come sicura.
Le smentite
I dati e le ricerche raccolte finora e le raccomandazioni dell'OMS, però, non hanno mai fatto pensare al coronavirus come a una nube batteriologica, incapace di restare impregnato a lungo in sostanze gassose. Inoltre, lo studio è di fatto la descrizione di un caso di contagi avvenuti su un pullman, realizzata grazie ai circuiti interni del mezzo, e manca completamente di ulteriori evidenze statistiche.
A questo proposito, infatti, Roberto Burioni, virologo e docente all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, ribadisce che «il dato è molto debole e lo studio aneddotico perché si basa sull’osservazione di questi passeggeri attraverso la telecamera a circuito chiuso. Chi mi dice che i passeggeri non fossero già malati? E perché non si è infettato chi era vicino al “passeggero A”? Tutto quello che sappiamo è che il virus si trasmette attraverso le goccioline emesse da tosse e starnuti emesse da persone positive e non ci sono reali prove scientifiche che il virus rimanga sospeso nell’aria».
Si accoda alla smentita il virologo Fabrizio Pregliasco, Direttore Sanitario dell’Istituto Ortopedico Galeazzi: «È sicuramente un caso estremo, che non fa parte della normalità. Dobbiamo ricordarci che più ci si allontana dal soggetto infetto, meno sono le probabilità di contagio perché la curva delle famose goccioline cala. Inoltre possiamo supporre, al di là che è uno studio osservazionale, che il “passeggero A” sia stato un superdiffusore, con alta carica virale e le persone che ha contagiato probabilmente erano particolarmente suscettibili, sempre che il contagio sia avvenuto davvero sull’autobus. Insomma, una serie di circostanze particolari, non così facilmente ripetibili, ma che devono fare riflettere sull’importanza del lavaggio delle mani».
Ancora una volta, quindi, risulta importante verificare le fonti degli aggiornamenti relativi al nuovo coronavirus e controllarne la validità grazie al confronto con i canali ufficiali quali il sito del Ministero della Salute, le direttive dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e anche il parere degli esperti (medici, microbiologi e virologi). Sì quindi all'esposizione all'aria aperta, ovviamente rispettando la distanza di sicurezza di un metro.