C’è poco (pochissimo da aggiungere): gli effetti dell’iperlavoro sono ormai più che noti. Secondo alcuni studi, chi è in ufficio per oltre 55 ore a settimana corre il 13% di rischio in più di sviluppare patologie coronariche e il 33% in più di incorrere in ictus o infarti, rispetto a chi lavora 35-40 ore. I giapponesi lo sanno bene, tanto da coniare un termine ad hoc per indicare la morte per eccessivo lavoro: karoshi.
La domanda che ci pone è dunque abbastanza semplice. La risposta, però, meno scontata. Lavorare meno fa bene alla salute? La settimana lavorativa di 4 giorni – oppure la giornata lavorativa di 6 ore – migliorano i livelli di stress a cui si è sottoposti, dunque la produttività?
Meno ore in ufficio, più produttività? Difficile dirlo, purtroppo
Psicologi ed economisti se lo chiedono da tempi immemori. E le condizioni di lavoro, inutile dirlo, sono notevolmente migliorate con il passare dei secoli. Grazie alla tecnologia e alla digitalizzazione del lavoro, infatti, si è passati dalle 60 ore alle 40 ore lavorative. La produttività, però, non è di certo diminuita. Perché non snellire ulteriormente l’orario?
Una risposta definitiva non c’è. Il dilemma è ancora a un punto morto. Uno studio effettuato da accademici della Swedish National Institute of Working Life ha messo a paragone i pro e i rtintro di due diversi tipi di orario lavorativo, testando benefici e controindicazione su un campione di circa 500 lavoratori. Per un anno e mezzo, metà dei dipendenti è passata dalle 8 alle 6 ore di lavoro al giorno. L’altra metà, invece, ha continuato la routine delle 8 ore tradizionali.
Come ovvio, chi ha lavorato meno si è detto più felice, perché meno stressato. Sulla produttività, purtroppo, non si è raggiunta una conclusione univoca. Sembra molto difficile misurarla.
Ci sono anche “effetti misurabili” del malessere da lavoro. Si veda il cortisolo, l’ormone dello stress, per esempio. Ebbene, a dispetto di quanto si possa credere, non sono stati rilevati minori livelli di cortisolo tra gli impiegati alleggeriti dalle ore lavorative. Neppure una riduzione dei giorni di malattia richiesti.
Non tutti sono d’accordo
Proprio così: i risultati degli studi non arrivano tutti alla stessa soluzione. Una ricerca condotta fra i dipendenti di una casa di riposo svedese ha collegato all’orario lavorativo ridotto una diminuzione dei permessi per malattia, così come a un miglioramento della qualità del lavoro.
Perché questi risultati così discordanti? Forse, il motivo risiede nel carico di lavoro, che non diminuisce parallelamente all’orario. I dipendenti di un’agenzia media inglese, per esempio, dopo due anni di stress con giornate lavorative di 6 ore, hanno chiesto di tornare all’orario standard, con il venerdì libero. Una settimana più corta? Potrebbe forse essere la vera soluzione al problema.