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Quozienti di intelligenza più alti ridurrebbero il rischio di schizofrenia

Vincenzo Russo | Blogger

Ultimo aggiornamento – 03 Aprile, 2015

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Il primo test di intelligenza moderno, la Scala Binet-Simon, fu pubblicato esattamente 110 anni fa e, pochi anni dopo, nel 1912, lo psicologo tedesco Wiliam Stern coniò il nome QI  e lo definì come la risultante della formula (età mentale/età biologica)*100; in questo modo, due bambini di età diversa che risultassero entrambi con una intelligenza pari alla media, otterrebbero lo stesso punteggio di 100. Un bambino di 10 anni che avesse ottenuto un punteggio normale per uno di 13, ad esempio, avrebbe avuto un QI di 130 (100*13/10). Lo scopo era di identificare gli alunni che avevano bisogno di un aiuto nell’iter scolastico. Questo test, basato sull’età, appariva funzionale sui bambini ma non sugli adulti, tanto che il primo test per la misurazione del QI degli adulti apparve solo nel 1939 a opera dello psicologo americano, di origine rumena, David Wechsler, la Wechsler Adult Intelligence Scale o WAIS.

Sull’utilità del test per la misurazione del QI ci sono da sempre molti dubbi, dal momento che non può tenere conto di molti fattori, difficilmente misurabili, come intuito o creatività, e avere un alto QI non è garanzia di sicuro successo.

Tuttavia, un nuovo studio ha utilizzato la misurazione del QI per verificare le teorie sul legame tra deficit cognitivo preesistente e schizofrenia, trovando una proporzionalità inversa tra QI e rischio di sviluppare la patologia.

Il dr.Kenneth Kendler della Virginia Commonwealth University è stato l’autore della ricerca, che recentemente è stata pubblicata sul The American Journal of Psychiatry.

Lo studio

La base della ricerca è legata alle teorie che vedono la schizofrenia collegata a un deficit cognitivo preesistente, secondo quanto pubblicato dallo psichiatra tedesco Emil Kraepelin verso la fine del XIX secolo. Kraepelin ipotizzava una sorta di demenza precoce nelle persone che, con il passare degli anni, avrebbero sviluppato la schizofrenia.

Le intuizioni di Kraepelin non hanno riscosso molto successo e sono state riscoperte soltanto un secolo dopo, quando, anche grazie all’affermazione di modelli eziopatogenetici della schizofrenia, come patologia del neurosviluppo, l’identificazione e il trattamento dei deficit cognitivi, è tornata a essere un argomento di studio.

La schizofrenia è un disturbo mentale grave, con sintomi che possono manifestarsi attraverso comportamenti socialmente pericolosi, deliri paranoidi e allucinazioni uditive. Oggi si sa che il disturbo è in gran parte causato da fattori genetici, anche se l’uso di droghe o i violenti traumi emotivi possono diventare fattori scatenanti.

Se sei molto intelligente, i tuoi geni per la schizofrenia non hanno molte possibilità di agire“, ha affermato il dr Kendler alla presentazione dello studio, che è il più esteso effettuato fino a oggi nell’esplorare il rapporto tra schizofrenia e capacità cognitive individuali. Il team di ricercatori ha analizzato i punteggi QI di oltre 1,2 milioni di uomini svedesi di età compresa tra i 18-20 anni, al momento in cui è stata effettuata la misurazione del QI, tra il 1979 e il 1995.

Successivamente, sono stati monitorati i ricoveri legati a diagnosi di schizofrenia, a partire dal 1986 e fino al 2010. La squadra di Kendler ha scoperto che c’era un collegamento sorprendente tra la diagnosi di schizofrenia e il QI, rilevato in ambito familiare. Secondo quanto emerge dallo studio, gli individui che, nell’ambito di uno stesso gruppo familiare, mostrano il QI più basso sono quelli maggiormente a rischio.

Non raggiungere il QI che si dovrebbe avere, in base alla costituzione genetica e al background familiare, sembra aumentare la predisposizione per la schizofrenia“.

Questi dati, naturalmente, non significano che le persone intelligenti siano impermeabili al disturbo, ma solo che il rischio è minore.

 

 

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Scritto da Vincenzo Russo | Blogger

Lavoro da anni nel mondo della medicina. Con Pazienti.it ho l'opportunità di scrivere di argomenti di salute, trasmettendo importanti messaggi di prevenzione e benessere.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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