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Come si calcola il rischio cardiovascolare?

Redazione

Ultimo aggiornamento – 14 Aprile, 2020

Rischio Cardiovascolare

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Il rischio cardiovascolare risulta dal miscelarsi – nel medesimo individuo – di elementi che vengono definiti non modificabili (quando intrinseci alla persona) e modificabili (quando modulabili attraverso idonee modifiche dell’ambiente e dello stile di vita).

Gli elementi implicati nel determinare l’effettivo rischio di manifestare nel tempo malattie cardiovascolari e/o cerebrovascolari sono in realtà moltissimi e, sovente, strettamente connessi al singolo individuo. Per questo motivo, ogni buon clinico sa che nel paziente che ha di fronte dovrà e potrà considerare singole variabili, spesso sottili e derivate dalla profonda conoscenza della persona che ha di fronte e della sua famiglia.

Come calcolare il rischio cardiovascolare nei pazienti

Nella popolazione generale, invece, al fine di poter dare consigli validi e approssimare al massimo possibile la “predittività” del calcolo statistico, il buon clinico si affiderà a calcoli e algoritmi che consentiranno di identificare il rischio in base alla presenza o assenza solo di fattori di rischio “maggiori”.

Tra questi, possiamo considerare come non modificabili:

  • età e genere;
  • familiarità per malattia coronarica e/o cerebrovascolare, particolarmente se prima dei 55 anni in un uomo e 60 anni in una donna (cosiddetti “eventi precoci”);
  • presenza di malattia su base aterosclerotica nei suoi vari stadi di sviluppo ed estrinsecazione clinica;
  • presenza di nefropatia.

Tra i modificabili, invece, potremo individuare:

La considerazione di questi semplici elementi consente – con buona approssimazione – di poter individuare in ogni determinata popolazione un rischio basso, moderato, alto oppure molto alto.

Altri fattori per il calcolo del rischio cardiovascolare

Chiaramente, ciò non tiene conto di una piccola miriade di fattori di rischio che sono comunque importanti, quali ad esempio l’acido urico. Allo stesso modo, con il calcolo fondato su questi elementi di rischio – usati almeno in parte in Italia nel contesto del Progetto Cuore dell’Istituto Superiore di Sanità – non si tiene conto di aspetti peculiari, ma tutt’altro che rari, in grado di favorire la comparsa di malattia vascolare: la sedentarietà, la dieta non equilibrata, l’eccessivo apporto di sodio, lo stress, la depressione, le malattie reumatiche, respiratorie e/o oncologiche, il livello economico e l’istruzione ricevuta e/o acquisita, etc..

Pertanto, quando si cerca di individuare il proprio personale rischio cardiovascolare, usando le comuni “carte del rischio” – si devono considerare i fattori sopra elencati, finendo così in una casella colorata in verde (rischio basso), giallo (moderato), arancione (alto) o rosso acceso (molto alto). In ogni caso, si deve sempre “fare la tara”, relativamente alla propria realtà individuale.

Non operando in questo modo, si finirà – da parte del pubblico non medico – per dire le solite cose insensate e inesatte, fortemente a favore della comparsa di malattia vascolare, quali il solito “mio nonno fumava ed è campato 90 anni”.

Ovviamente, ciò è tutt’altro che impossibile, ma è ben raro e, molto verosimilmente, nasconde colpevolmente la realtà: “mio nonno fumava ed è campato 90 anni perché a casa mia siamo tutti longevi” oppure “ma faceva attività fisica e/o stava attento a ciò che mangiava”.

Bene, dunque, rivolgersi a uno specialista, per valutare assieme e con la massima scientificità il proprio stato di salute, migliorando e modificando le proprie abitudini, laddove sia necessario.


A cura del prof. Claudio Ferri, Director – Division of Internal Medicine & Nephrology School of Internal Medicine University of L’Aquila.

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