Perché l’infarto è meno grave di notte? La risposta della scienza

Arianna Bordi | Autrice e divlugatrice su salute femminile, psicologia e salute del cervello
A cura di Arianna Bordi
Autrice e divlugatrice su salute femminile, psicologia e salute del cervello

Data articolo – 18 Dicembre, 2025

L'uomo esausto non riesce a dormire. Si tiene la testa tra le mani mentre è sdraiato nel letto.

L'infarto del miocardio è un fenomeno biologico strettamente legato ai ritmi della vita.

Recenti ricerche hanno messo in luce come la gravità del danno al cuore segua un preciso ritmo circadiano, dettato non dal caso, ma dal comportamento dei nostri stessi globuli bianchi, in particolare i neutrofili.

Ecco un'analisi approfondita di come l'orologio biologico influenzi la salute del nostro cuore e il ruolo cruciale del sistema immunitario in questo processo.

Il "tempo" del cuore: perché la mattina è più pericolosa?

È noto da tempo che gli infarti non colpiscono con la stessa intensità a tutte le ore. Sia nei modelli animali che negli esseri umani, esiste una finestra di vulnerabilità:

  • picco: negli esseri umani e nei topi, il danno è massimo durante le prime ore del mattino (per i topi, la fase ZT1-5, corrispondente alle 8:00-12:00 in laboratorio);
  • minimo: il danno si riduce drasticamente durante la notte (ZT13-17).

Si tratta di una variazione che non dipende dall'entità dell'ostruzione (l'area a rischio), ma dalla risposta del corpo.

Diversi studi confermano che il cuore è molto più suscettibile al danno tissutale in determinati orari a causa dell'attività dei neutrofili.

I neutrofili: da difensori a "colpevoli"

I neutrofili sono le prime cellule a intervenire durante un infarto per riparare i tessuti, ma possono causare un danno collaterale massiccio.

Attraverso esperimenti di "deplezione" (ossia eliminazione temporanea dei neutrofili tramite anticorpi specifici), i ricercatori hanno scoperto qualcosa di sorprendente:

  1. protezione: senza neutrofili, la dimensione dell'infarto si riduce;
  2. scomparsa del ritmo: senza queste cellule, le differenze di gravità tra mattina e notte spariscono del tutto.

Dunque, i neutrofili sono i diretti responsabili della "scandita" gravità circadiana dell'infarto.

Evidenze nell'uomo: lo studio STEMI

Un'analisi su 2.043 pazienti colpiti da infarto STEMI ha confermato il legame tra sistema immunitario e gravità del danno:

  • pazienti con alti livelli di neutrofili nel sangue mostrano oscillazioni circadiane della troponina (il marker del danno cardiaco) molto marcate;
  • pazienti con bassi livelli di neutrofili non presentano quasi nessuna variazione circadiana nella gravità dell'infarto.

Ma non è solo il numero di neutrofili a contare, ma il loro stato di attivazione: infatti, ogni neutrofilo possiede un proprio "orologio molecolare".

I ricercatori hanno studiato topi modificati geneticamente, il cui orologio interno ai neutrofili era disattivato.

I risultati sono stati illuminanti:

  • nonostante i topi avessero un numero normale (o persino superiore) di neutrofili circolanti, erano protetti dal danno cardiaco;
  • le oscillazioni circadiane del danno erano scomparse.

Ciò suggerisce che il problema non è la presenza dei neutrofili, ma il loro "invecchiamento" circadiano e la loro prontezza a infiammare il tessuto, regolata geneticamente.

CXCR4: lo scudo molecolare contro l'invecchiamento cellulare

Un protagonista chiave in questa dinamica è il recettore CXCR4, perché funge da "freno" all'invecchiamento dei neutrofili:

Impedisce, infatti, ai neutrofili di diventare "iper-aggressivi" durante le ore di veglia.

In sintesi, la gravità di un infarto dipende da un delicato equilibrio tra quantità, tempo e stato.


Potrebbe interessarti anche:


Chi ha una conta di neutrofili più alta non solo rischia un danno maggiore (testimoniato da livelli più alti di troponina), ma subisce oscillazioni molto più violente nella gravità dell'evento a seconda dell'ora in cui viene colpito; al contrario, chi ha pochi neutrofili mostra un danno più costante e meno influenzato dai ritmi circadiani.

Inoltre, a differenza delle terapie che eliminano i neutrofili (rendendo il paziente vulnerabile alle infezioni), l'attivazione di CXCR4 tramite ATI2341 offre una via d'uscita sicura:

  • nessun danno alle difese: i topi trattati hanno continuato a rispondere normalmente a batteri come S. aureus e funghi come C. albicans;
  • benefici a lungo termine: nei modelli di infarto, la protezione acuta si è tradotta in una migliore funzione cardiaca (sistolica e diastolica) anche a distanza di 4 settimane.

undefined

La stimolazione di CXCR4 non "addormenta" il sistema immunitario, ma lo educa a essere più preciso, limitando il danno collaterale al cuore e preservando la capacità di combattere i patogeni.

In definitiva, la ricerca ci dice che per proteggere il cuore non basta guardare alle arterie, ma bisogna capire come "disattivare" l'aggressività ritmica del nostro sistema immunitario.

Fonti:

JEM, Journal of Experimental Medicine - A circadian checkpoint relocates neutrophils to minimize injury

Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
Contenuti correlati