Chiunque abbia sperimentato il fenomeno di una melodia che si insinua persistentemente nei meandri della mente sa di non essere un caso isolato.
Essere preda di un "earworm" (tormentone), o, adottando la terminologia psicologica, ritrovarsi con "immagini musicali involontarie", è un'evenienza sorprendentemente diffusa e che trascende i confini individuali.
Vediamo un approfondimento in merito.
Fenomenologia dei tormentoni: ecco perché si attaccano al nostro cervello
Nell'ampio spettro di stimoli sonori che quotidianamente percepiamo, la musica si distingue per la sua singolare capacità di catturare l'attenzione del nostro cervello in modo particolarmente intenso.
Sebbene frammenti di conversazioni o rumori ambientali possano occasionalmente affiorare nella nostra coscienza, è decisamente meno probabile che si sedimentino e risuonino persistentemente come accade con le canzoni; queste ultime, grazie alla loro intrinseca architettura basata sulla ripetizione e su motivi melodici ricorrenti, possiedono un'aderenza mnemonica superiore.
Infatti, la semplice iterazione di parole pronunciate può infondere loro una qualità musicale, un affascinante fenomeno noto come "speech-to-song illusion", brillantemente scoperto dalla psicologa Diana Deutsch.
Nonostante la loro bellezza, però, non tutte le composizioni musicali possiedono l'insidiosa capacità di trasformarsi in un "tormentone": come osservato da Kelly Jakubowski, professoressa associata di psicologia musicale presso la Durham University, "il fattore più determinante nel decretare se una canzone diventerà un tormentone è la sua recente esposizione: talvolta la melodia continua a risuonare nella nostra mente anche dopo aver cessato l'ascolto".
La musica pop, per sua stessa essenza e diffusione, è intrinsecamente destinata a essere ascoltata e riascoltata innumerevoli volte: una peculiarità che si lega a una nota tendenza psicologica, definita "effetto della mera esposizione", secondo cui la familiarità con uno stimolo, che sia una canzone o altro, ne accresce la piacevolezza nel tempo.
Ad esempio, uno studio del 2023 ha condotto un esperimento in cui i partecipanti venivano esposti a brani musicali a loro sconosciuti.
L'ascolto di ciascuna canzone variava in termini di frequenza e i risultati hanno rivelato una correlazione significativa: quanto più spesso una canzone veniva ascoltata, tanto maggiore era la probabilità che la memoria di lavoro dei partecipanti risultasse compromessa il giorno successivo, persino in assenza di musica.
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In linea con questi risultati, Callula Killingly, ricercatrice presso la Queensland University of Technology e autrice dello studio, ha affermato: "Se ascolti più frequentemente le canzoni, è più probabile che si trasformino in tormentoni".
Ciononostante, lo studio ha anche evidenziato il ruolo cruciale della composizione intrinseca del brano: alcune melodie possedevano un'innata capacità di catturare l'attenzione e persistere nella memoria, risultando semplicemente più "orecchiabili" e coinvolgenti di altre.
Nondimeno, il fattore predominante sembra risiedere nella "cantabilità" intrinseca di una canzone, ovvero la sua facilità di esecuzione vocale, anche solo a livello mentale, e la conseguente irresistibile spinta a farlo.
"Una canzone si fissa nella nostra mente perché proviamo un'inconscia compulsione a cantarla", spiega Killingly. "E l'avere una canzone 'in testa' implica, in un certo senso, l'appropriazione di risorse preziose della nostra memoria di lavoro."
Le canzoni che più facilmente diventano tormentoni condividono spesso caratteristiche strutturali comuni: tendono ad essere semplici, di breve durata e caratterizzate da una marcata ripetitività. Presentano sovente contorni melodici più generici e prevedibili, fornendo una base familiare all'ascoltatore; al loro interno, però, si insinuano sprazzi di novità e intervalli inattesi che ne ravvivano l'interesse e ne prevengono la monotonia.
Sebbene anche i brani strumentali possano diventare delle canzoni che si fissano nella nostra mente, questo fenomeno si manifesta con maggiore frequenza nelle canzoni che includono un testo.
L'esperienza di "sentire" una melodia risuonare nella nostra mente, anche in assenza di una fonte sonora esterna, attiva nel nostro cervello un considerevole numero di risorse cognitive analoghe a quelle impiegate durante l'ascolto effettivo.
Tecniche di neuroimaging hanno chiaramente dimostrato che l'atto di immaginare deliberatamente la musica innesca l'attività di regioni cerebrali uditive e motorie sorprendentemente simili a quelle che si illuminano durante la sua reale percezione.
Però, come precisa Jakubowski, l'immaginazione musicale coinvolge in misura maggiore le regioni frontali del cervello, cruciali per i processi di memoria e di recupero delle informazioni, funzioni meno sollecitate durante la semplice audizione; infatti, mentre la corteccia uditiva primaria gioca un ruolo predominante nell'ascolto, elaborando in modo diretto gli stimoli sonori in arrivo, durante l'immaginazione le aree uditive di ordine superiore assumono un'importanza maggiore.
È affascinante osservare come, durante l'ascolto di un brano, il nostro cervello dimostri una notevole capacità di "riempire i vuoti" sonori; ad esempio, alcuni ricercatori hanno riprodotto canzoni iconiche, come Satisfaction dei Rolling Stones, inserendo strategicamente degli intervalli di silenzio.
Le immagini neuroscientifiche hanno rivelato un fenomeno sorprendente: la corteccia uditiva continuava a manifestare attività anche durante le pause silenziose, quasi come se la musica stesse proseguendo ininterrottamente.
In linea con la teoria secondo cui le canzoni orecchiabili innescano in noi un desiderio inconscio di cantare, i ricercatori hanno inoltre scoperto che il canticchiare mentalmente una melodia si traduce effettivamente in subvocalizzazioni: pur non emettendo suoni udibili, si verificano comunque movimenti muscolari misurabili a livello della laringe e delle labbra, testimoniando un'attivazione motoria silente.
I tormentoni davvero non ci piacciono? Possiamo liberarcene?
Contrariamente alla diffusa percezione che le canzoni orecchiabili siano invariabilmente fonte di fastidio, la realtà rivela che nella maggior parte dei casi vengono percepite come piacevoli o, quantomeno, neutre.
"Questo ha perfettamente senso, poiché spesso ci ritroviamo a canticchiare mentalmente le nostre canzoni preferite, che continuano a risuonare nella nostra testa", spiega Jakubowski.
Uno studio del 2021, condotto da Killingly e dai suoi collaboratori, ha rivelato che le canzoni orecchiabili che venivano interrotte bruscamente sembravano compromettere in misura maggiore la memoria di lavoro, suggerendo una loro maggiore probabilità di "attaccarsi" alla mente.
"Le persone tendono a riferire di sperimentare earworm mentre guidano o sotto la doccia, momenti in cui la mente vaga forse a causa della noia", sottolinea la ricercatrice.
Ma, sorprendentemente, gli studiosi hanno identificato un rimedio inaspettato che sembra promettere risultati significativi: la masticazione di chewing gum.
Poiché le melodie orecchiabili possono innescare un desiderio inconscio di cantare, coinvolgendo i nostri muscoli vocali anche in assenza di emissione sonora, masticare chewing gum attiva e impegna gli stessi muscoli e i centri di pianificazione motoria nel cervello, potenzialmente attenuando la presa delle canzoni indesiderate, come suggerisce uno studio del 2015.
Jakubowski, però, raccomanda di evitare una masticazione eccessivamente energica, altrimenti, a causa del forte potere condizionante del tormentone, ci si potrebbe ritrovare a masticare a ritmo di musica.