Fare sport dopo i 50 anni dimezza il rischio di Alzheimer? Cosa rivela l'ultimo studio

Alessandra Familari | Autrice e divulgatrice informazione sanitaria
A cura di Alessandra Familari
Autrice e divulgatrice informazione sanitaria

Data articolo – 09 Dicembre, 2025

Persone dopo i 50 anni che praticano sport.

L’attività fisica praticata nella mezza età e nella terza età è associata a una marcata riduzione del rischio di demenza e malattia di Alzheimer.

A dirlo è un nuovo studio internazionale basato sui dati del Framingham Heart Study, pubblicato su JAMA Network Open, una delle riviste scientifiche più autorevoli in ambito medico.

Vediamo cosa dice lo studio, e quanto sport fare per aiutare il corpo a proteggere il cervello dall'Alzheimer.

Sport dopo i 50 anni e Alzheimer: cosa ha analizzato lo studio

La ricerca individua due fasi cruciali nella vita in cui muoversi fa davvero la differenza per la salute del cervello: dopo i 50 anni e oltre i 70. In questi periodi, uno stile di vita attivo può tradursi in una riduzione del rischio di demenza fino al 40–45%.

I ricercatori hanno seguito per decenni i discendenti dei partecipanti originali del Framingham Heart Study, raccogliendo informazioni dettagliate sull’attività fisica svolta in tre momenti chiave della vita: prima età adulta, mezza età e anzianità.


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L’attività fisica è stata valutata tramite questionari validati, che consideravano quante ore al giorno venivano trascorse:

  • dormendo;
  • seduti;
  • svolgendo attività leggere;
  • praticando esercizio moderato;
  • allenandosi in modo intenso.

Nel tempo sono state registrate le diagnosi di demenza e Alzheimer, effettuate da équipe cliniche specializzate con criteri rigorosi.

Alzheimer: dopo i 50 anni lo sport protegge il cervello

L’analisi ha mostrato un risultato sorprendente: l’attività fisica svolta in giovane età non è risultata chiaramente associata a una riduzione del rischio di demenza in età avanzata.

Diverso, invece, il quadro dopo i 50 anni. Chi praticava più attività fisica tra i 50 e i 60 anni aveva un rischio inferiore di circa il 40% rispetto ai coetanei più sedentari. Un beneficio simile è emerso anche oltre i 70 anni, con una riduzione del rischio tra il 40% e il 45%.

Lo studio ha considerato anche la variante genetica APOE ε4, nota per aumentare la probabilità di sviluppare Alzheimer. L’attività fisica non annulla il rischio genetico, ma riduce comunque la probabilità di ammalarsi anche nei soggetti predisposti.

Pertanto la genetica conta senz'altro in modo significativo. Tuttavia, lo stile di vita può modificarne gli effetti.

Sport dopo i 50 anni e Alzheimer: perché il movimento ci protegge

Nella mezza età, l’esercizio fisico contrasta i principali fattori di rischio per la demenza: ipertensione, alterazioni metaboliche, obesità e infiammazione cronica. Nella terza età preserva la cosiddetta “riserva cognitiva”, ovvero la capacità del cervello di compensare i danni legati all’invecchiamento.

In particolare contribuisce a:

  • migliorare la circolazione cerebrale;
  • mantenere la massa muscolare;
  • ridurre il rischio di depressione;
  • preservare autonomia ed equilibrio;
  • stimolare relazioni e funzioni cognitive.

Ma quanto esercizio serve davvero?

La ricerca non si é curata di indicare un numero preciso di passi, ma si rifanno alle linee guida internazionali: almeno 150 minuti a settimana di attività moderata oppure 75 minuti di attività intensa, integrando esercizi di forza ed equilibrio.

Anche negli anziani fragili, aumentare leggermente il movimento quotidiano può rappresentare una concreta protezione.

Proteggere, dunque, il cuore significa anche proteggere il cervello. Si evince che la prevenzione non ha età: iniziare a muoversi maggiormente oggi può fare la differenza negli anni che verranno.


Fonti:

Framingham Heart Study, JAMA Network Open, 2025.

Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
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